Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

L’importanza di chiamarsi Ernesto.

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Nonostante in molti lo ignorino, Ernesto è un nome di origine tedesca. Deriva dall’antico Arnust, che vuol dire valoroso e combattente, ma secondo alcune accezioni il significato è simile a onesto e fedele. La storia ha insegnato che Ernesto è effettivamente un nome da valoroso e combattente: lo ha fatto negli anni Cinquanta in Centro America, dove un rivoluzionario fedele ha scolpito il nome e il volto nel corso degli eventi e ancora oggi la sua effigie – purtroppo o per fortuna – è un marchio assai più riconoscibile di un logo politico o pubblicitario, per dire.

Cinquanta anni più tardi in Salento, quella faccia ha fatto capolino sotto una maglietta della salute, a sua volta sotto un’altra maglia a righe gialle e rosse. Succede su un campo di calcio, dopo un’esultanza qualsiasi. Qualsiasi però non è il giocatore che esulta. Il destino vuole che anche lui sia valoroso, combattente e onesto e, guarda caso, anche lui si chiama Ernesto. Ernesto Javier Chevanton Espinosa. Oscar Wilde, che a suo modo quasi centodieci anni prima era stato profetico, sorriderebbe di fronte a questa coincidenza.

CheyFidelSi può essere politici con le dichiarazioni, e quindi con una presa di posizione netta, oppure con i gesti. Ernesto Chevanton appartiene a questa seconda categoria: il suo amore verso Lecce, il suo attaccamento ai giallorossi va oltre il semplice affetto, diventa un’ideale e una fede. Come il suo omonimo cinquant’anni prima a Cuba, Chevanton diventa il vero ribelle del Salento, tanto da tornarci due volte e rimanere sempre attaccato a una terra bellissima.

Ernesto Javier Chevanton prima di essere un calciatore è una sorta di rivoluzionario. Si dirà che forse ci sono giocatori che sono saliti alla ribalta più di lui, ma sposare una causa e sostenerla anche negli anni più bui della storia del Lecce è a tutti gli effetti un gesto di rottura verso l’aberrante monotonia del calcio moderno.

C’è una tipica canzone salentina che si chiama Lu rusciu te lu mare, la cui traduzione è all’incirca Il rumore del mare. Come tutte le canzoni tipiche il testo, passato di bocca in bocca, cambia a seconda del cantante o della zona in cui viene cantata. Il significato in questo caso rimane sempre lo stesso: un amore impossibile tra una donna e un soldato, valoroso e fedele. In pratica l’amore impossibile tra Chevanton e il Lecce. Impossibile perché l’attaccante uruguaiano, portato in giallorosso da Pantaleo Corvino, esplode al Via del Mare e mostra sprazzi di calcio che in Salento non vedevano da quando quel terreno era calpestato da un certo Pasculli, un altro su cui varrebbe la pena aprire mille parentesi.

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Chevanton nel pieno della sua carriera passa al Siviglia e al Monaco, assaggia il calcio che conta ma non è contento, ha il cuore nel sud della Puglia. E lì torna, quando ormai tutto sembrava perduto: dà una mano ai suoi a salvarsi grazie a un gol meraviglioso contro il Napoli, che ha reso ancor più famoso il coro Din don ha segnato Chevanton nato quel pomeriggio a Marassi.

Poi riparte, va al Colon in Argentina. Ma anche laggiù, molto vicino al natio Uruguay, sente che non può lottare al fianco del suo Lecce. E quindi torna, alla presentazione è visibilmente commosso, dice di aver pianto quando gli hanno offerto il contratto (a tempo indeterminato, tra l’altro). E il rumore del mare torna a farsi sentire più vivo e potente che mai anche se quella sarà una delle tante annate sfortunate in Lega Pro per i leccesi. Finirà con una finale playoff persa, con gli ultras giallorossi che chiedono spiegazioni e il solo Chevanton – gli occhi roridi di lacrime – a scusarsi. Il rapporto passionale con la terra lo testimonia anche l’attaccamento ai tifosi.

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Nei giorni scorsi ha circolato molto sul web un’immagine di un abbonamento del Lecce alla stagione 2016-17: la foto in alto a destra è inconfondibile, il nome sulla tessera anche. Ernesto Javier Chevanton si è abbonato in curva nord, da attaccante popolare qual è non ha voluto staccarsi dall’essenza del suo calcio, e ogni domenica in cui il Lecce si esibisce al Via del Mare lui è lì. Gli infortuni e l’età non gli permettono di dare una mano in campo, quindi Cheva decide di farlo sugli spalti.

Un altro gesto fuori dal coro di un attaccante fuori dal coro, irriducibile come l’altro Ernesto che porta impresso sulla pelle. Chevanton è l’attaccante più prolifico della storia del Lecce, ha superato Pasculli e un altro tipo niente male come Cristiano Lucarelli, evidentemente Lecce è terreno fertile per attaccanti in direzione ostinata e contraria. Chevanton vive in Salento, è il genero di Pasquale Bruno e ama con passione viscerale quella terra e questa squadra. Quando deve dire una cosa la dice, senza fronzoli.

A maggio su Twitter si è scagliato contro i calciatori indagati e condannati per il calcioscommesse. “Serie A italiana, giocatori che si sono vendute le partite per anni ancora giocano. Tremendo, senza parole” ha scritto Chevanton. Ieri, domenica 11 settembre 2016, in Atalanta – Torino ha segnato Andrea Masiello. Chissà, forse se si fosse chiamato Ernesto avremmo raccontato una storia completamente diversa.

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