Io sono Guglielmo di Nassau,
di sangue germanico,
rimarrò fedele alla patria
finché non morirò.
(prima strofa dell’inno nazionale dei Paesi Bassi,
che non viene cantata dai giocatori di origine surinamese)
4 luglio 1998.
Michael Reiziger, Edgar Davids, Patrick Kluivert. Sono tre dei calciatori olandesi in campo nei quarti di finale del Mondiale 1998 contro l’Argentina. La partita rappresenta il più classico dei crocevia per la nazionale oranje, a digiuno di risultati prestigiosi da Euro ’88 e bisognosa di ritrovare una propria identità dopo i fasti della generazione di Gullit e Van Basten. Reiziger, Davids e Kluivert non sono però dei semplici olandesi: sono di origine surinamese.
Davids è addirittura nato a Paramaribo, e così anche i compagni di squadra Clarence Seedorf, Aron Winter e Jimmy Floyd Hasselbaink, che siedono in panchina insieme a Winston Bogarde, altro olandese di origine surinamese. In totale i giocatori provenienti dall’ex colonia (una volta nota come Guyana Olandese) sono 7 su 23. Il blog Making plans for Nigel ha proposto nel 2012 l’ipotetico “undici” del Suriname che avrebbe potuto partecipare ai mondiali francesi, sostenendo che sarebbe stato un serio candidato per la vittoria della la Coppa; affermazione forse azzardata, ma è certo che una squadra del genere (specie dal centrocampo in su) sarebbe stata un osso duro per chiunque. Leggere la formazione per credere: Menzo; Reiziger, Van Gobbel, Monkou, Bogarde; Seedorf, Davids, Winter, Blinker; Kluivert, Hasselbaink.
Davvero niente male per un Paese minuscolo e per lo più conosciuto solo nei Paesi Bassi, incassato tra la Guyana e la Guyana Francese e con il gigantesco Brasile proprio sotto di sé. La popolazione del Suriname è di poco più di 500.000 persone, quasi la metà delle quali vive nella capitale Paramaribo. L’economia è molto semplice e si basa quasi del tutto sulle esportazioni, con i Paesi Bassi a farla letteralmente da padroni tra i partner commerciali interessati alla bauxite, al riso e alle banane. Ma c’è un prodotto che, per quantità e qualità, ad Amsterdam e dintorni è di gran lunga il più richiesto: il giocatore di calcio.
Nel 1998, come abbiamo visto, il Suriname ha prodotto talenti di livello così alto da poter far parte della quarta nazionale del Mondo (peraltro eliminata dal Brasile solo ai rigori dopo aver vinto la partita con l’Argentina grazie a questo capolavoro di Bergkamp). Tutto ciò è stato il risultato di un processo lento ma costante, iniziato esattamente 28 anni prima grazie a un personaggio da leggenda.
3 aprile 1960.
Stadio Olimpico di Amsterdam. Si gioca un’amichevole tra Paesi Bassi e Bulgaria. Un tiro degli ospiti colpisce la traversa e torna in campo, ma prima che il centravanti bulgaro possa intervenire un difensore di colore respinge in rovesciata lasciando il pubblico senza parole. Il suo nome è Humprey Mijnals e ha alle spalle una storia davvero particolare.
Mijnals ha iniziato a giocare a calcio nel nativo Suriname, quindi ha esordito da professionista nell’América Futebol Clube del Pernambuco, in Brasile. Nel 1956 è stato contattato dall’USV Elinkwijk di Utrecht e si è trasferito nei Paesi Bassi con il fratello Frank e altri tre giocatori surinamesi. In Eredivisie ha giocato tanto bene da venire convocato nella nazionale olandese per la partita con la Bulgaria, primo giocatore della colonia sudamericana a meritare questo onore. Con gli oranje scenderà in campo altre due volte, l’ultima della quale proprio contro il Suriname, ma verrà estromesso a causa di alcune dichiarazioni polemiche sui criteri di selezione della nazionale rilasciate a un giornalista. Giocherà quindi per i Suriboys (con cui aveva collezionato tre presenze tra il 1954 e il 1956) difendendone la maglia per circa 45 volte, numero indicativo a causa della natura non ufficiale degli incontri. Nel 1999 sarà nominato giocatore surinamese del secolo.
Mijnals è l’apripista, anche se dovranno passare ben 21 anni prima di rivedere con la casacca arancione un altro giocatore originario del Suriname, seppur nato ad Amsterdam: un certo Frank Rijkaard. Un lasso di tempo piuttosto lungo, ma perfettamente in linea con i flussi migratori da Paramaribo, aumentati in maniera massiccia dal 1975. Nel vittorioso europeo del 1988 i surinamesi in rosa sono 4: Rijkaard, Winter, Vanenburg e il più forte di tutti, Ruud Gullit. Negli anni successivi esordiscono tra gli altri il portiere Stanley Menzo, Brian Roy e Gaston Taument, fino all’exploit del 1998. Ma non tutto è rose e fiori.
Nel 1996 Edgar Davids, uno che in carriera non le ha mai mandate a dire, nel bel mezzo del Campionato Europeo inglese viene rispedito a casa dal ct Hiddink per alcune dichiarazioni al vetriolo rilasciate dopo la seconda partita dei Paesi Bassi, nelle quali ha insinuato che il commissario tecnico sia troppo amico del capitano Blind e pregiudichi con le sue scelte i giocatori di colore. Un colpo durissimo per tutto il Paese, solitamente considerato un modello di tolleranza e integrazione (specie da chi non è mai stato nei ghetti neri delle principali città olandesi). Nonostante in seguito vengano fornite altre spiegazioni dell’atmosfera tesa che si respira in nazionale, legate a questioni di soldi e invidie economiche, una celeberrima foto sembra confermare la realtà di una squadra divisa. Il reporter, intrufolatosi nel ritiro oranje all’ora di pranzo, ha scattato prima che Hiddink lo scacciasse. Nella fotografia si vede il ct (in piedi) al tavolo più vicino, insieme a Bergkamp e Blind; dietro di loro un secondo tavolo, più lontano il terzo e ultimo. Laggiù, e solo laggiù, si trovano i neri, insieme ai quali siede un unico bianco, Richard Witschge.
L’entourage della nazionale smentisce le accuse di razzismo sostenendo che la separazione è dovuta unicamente ai gusti diversi dei giocatori: i neri preferiscono piatti surinamesi mentre i bianchi vogliono mangiare all’occidentale, dunque la divisione serve solo a non mischiare i due menù. Una spiegazione che contrasta con le sensazioni trasmesse dalla fotografia, che si sommano ai pettegolezzi sulle antipatie razziali (pare che in campo bianchi e neri si passino il pallone malvolentieri…) e all’autodefinizione di “clan” data da Reiziger al piccolo ma agguerrito drappello surinamese.
Che sotto sotto ci sia qualcosa di più viene confermato un anno più tardi. Raggiunta la qualificazione per i Mondiali del ’98, il magazine surinamese Obsession pubblica un articolo nel quale i calciatori di colore della nazionale oranje dichiarano di non sentirsi rispettati. Kluivert rivela che avrebbe voluto giocare per il Suriname, se solo la nazionale fosse stata minimamente competitiva.
L’ottimo cammino dei Paesi Bassi a Francia ’98 cancella le polemiche sul presunto razzismo della nazionale olandese, da allora mai più ripresentatesi. Di certo il problema è sorto dopo l’ingresso massiccio dei surinamesi in nazionale iniziato negli anni ’80. Ma per quale motivo nei Paesi Bassi gli immigrati provenienti dall’ex Guyana Olandese sono così tanti?
25 novembre 1975.
Dopo 308 anni di occupazione violenta, schiavismo (nel 1863 il 95% della popolazione era di origine africana) e sfruttamento, viene ratificata l’indipendenza del Suriname dai Paesi Bassi. Purtroppo, come mostra la storia di moltissime ex colonie, la libertà non è quasi mai foriera di un futuro radioso. Quando i colonialisti se ne vanno si lasciano alle spalle Paesi allo sbando, economicamente e socialmente immaturi: il terreno ideale per la corruzione e un’anticamera quasi certa all’autoritarismo. Il Suriname non fa eccezione. Il 25 febbraio del 1980, solo 5 anni dopo la conquista dell’indipendenza, Desi Bouterse e altri 15 sergenti dell’esercito surinamese mettono in atto un colpo di Stato.
Inizialmente il popolo è dalla loro parte nella lotta contro una classe politica inefficace e corrotta, ma deve ricredersi quando il Groep van zestien (Gruppo dei sedici) impone il coprifuoco, chiude tutti i giornali tranne de Ware Tijd (comunque sottoposto a censura), mette al bando i partiti politici, restringe il diritto di assemblea e cancella l’Università del Suriname. Il regime di Bouterse, segnato da un’altissima corruzione e dal coinvolgimento diretto nei traffici di cocaina con l’Europa, dura fino al 1991, quando la guerra civile iniziata nel 1986 tra le forze della dittatura e il Jungle Commando di Ronnie Brunswijk porta al ripristino di una repubblica presidenziale.
L’incertezza sulla vita da Stato libero prima, l’instabilità politica e il regime poi hanno contribuito all’esodo di massa dei surinamesi verso i Paesi Bassi, acuito dalla guerra dopo alcuni anni di regressione. I regimi e i conflitti portano fatalmente all’emigrazione, anche se leghisti e altri subumani del genere sembrano convinti che le persone lascino casa e famiglia esclusivamente per fare gite spesate. Si stima che in meno di 50 anni quasi un terzo della popolazione abbia attraversato l’Oceano diretto verso la ex madrepatria. Ad Amsterdam gli immigrati sono stati convogliati in un quartiere popolare, Bijlmermeer, che in breve è divenuto un vero e proprio ghetto e ha sviluppato tutte le problematiche di degrado tipiche di quella realtà.
Oggi nei Paesi Bassi vivono 350.000 persone nate in Suriname o di origine surinamese, anche se il ritorno della democrazia ha contribuito ad arrestare il flusso continuo delle migrazioni. Solo i calciatori continuano ancora a seguire gli schemi migratori del passato. Qualcuno ha provato a invertirlo, quel flusso, nonostante il destino si sia messo di traverso in un giorno d’estate di fine anni ’80.
7 giugno 1989.
Il volo 764 della Suriname Airways sta per atterrare a Paramaribo dopo un lungo volo iniziato all’aeroporto di Amsterdam. Tra i 178 passeggeri ci sono anche 17 calciatori. Non si trovano lì per caso. Fanno parte di una squadra molto particolare, l’Het Kleurrijk 11 (“l’undici di colore”), fondata nel 1986 da un assistente sociale di Amsterdam, Sonny Hasnoe, che lavora da anni nel ghetto di Bijlmermeer. Hasnoe conosce alla perfezione i problemi dell’enorme quartiere e pensa che il calcio possa essere uno dei mezzi principali per strappare i ragazzi dalla strada, dalla droga e dalla violenza. Tra i progetti che porta avanti c’è anche quello del Kleurrijk 11, una selezione di giocatori professionisti surinamesi che ha giocato la sua prima partita nel 1986 contro l’SV Robinhood, principale club di Paramaribo. L’obiettivo del Kleurrijk è duplice: dare modelli positivi ai giovani disagiati di Bijlmermeer e raccogliere fondi per sviluppare il calcio surinamese, ancora totalmente amatoriale. L’idea di Hasnoe è stata accolta con grande entusiasmo dai giocatori e dall’opinione pubblica delle due nazioni, tanto che tre anni più tardi è stato deciso di intraprendere una vera e propria tournée in Suriname. Alla guida della squadra c’è Nick Stienstra, 33enne nato a Paramaribo e trasferitosi nei Paesi Bassi per diventare un professionista. Come calciatore non è riuscito a sfondare, ma non ha abbandonato il sogno di contribuire a migliorare il livello del calcio surinamese, sia pure come tecnico. A Gullit, Rijkaard, Winter, Roy, Blinker e Gorré, le principali stelle di origine surinamese, è stato impedito di partecipare dai propri club, ciò nonostante la squadra può contare su alcuni ottimi elementi, fra i quali la “perla del Bijlmer” Steve van Dorpel, Andro Knel (70 presenze in Eredivise con lo Sparta Rotterdam a soli 21 anni) e Stanley Menzo, che ha disobbedito alle direttive dell’Ajax ed è partito con un volo precedente insieme all’attaccante del Groningen Hennie Meijer.
Alle 4.27 del mattino l’aereo arriva in vista dell’aeroporto di Paramaribo-Zanderij e inizia la discesa, ma la nebbia imprevista e un grave errore del pilota portano alla conclusione peggiore: l’ala destra colpisce un albero, l’apparecchio si capovolge e si schianta a terra, spezzandosi e prendendo fuoco. Delle 187 persone presenti a bordo tra equipaggio e passeggeri si salvano in 11: è la più grave tragedia nella storia dell’aviazione e, al contempo, dello sport surinamese, che perde in un solo colpo alcuni dei migliori giocatori di quella generazione.
Tra i sopravvissuti ci sono 3 membri del Kleurrijk 11, Sigi Lens, Edu Nandlal e Radjin de Haan: solo quest’ultimo tornerà a giocare, seppur con gravi problemi che gli impediranno di affermarsi nel calcio professionistico. A loro e a Menzo, che più avanti fonderà i Suriprofs, il compito di passare il testimone ai giocatori che verranno, perché l’idea di un Suriname diverso non viene fermata da quell’aereo spezzato sulla pista di Paramaribo.
20 maggio 2015.
La nazionale di Curaçao, un’altra ex colonia olandese, e una selezione non ufficiale del Suriname scendono in campo ad Almere. Il Suriname schiera, tra gli altri, Gianni Zuiverloon, 22 presenze con l’under 21 olandese, Lorenzo Davids (cugino di Edgar) e Nigel Hasselbaink, nipote di Jimmy Floyd. Il risultato è di 3-2 per Curaçao, allenato (i casi della vita) da Patrick Kluivert.
Se l’incontro fosse stato ufficiale, Curaçao avrebbe ugualmente potuto schierare i molti calciatori di origine caraibica che vivono e giocano nei Paesi Bassi, Suriname no. Ed ecco ritornare la domanda che ha aleggiato finora su questo articolo: per quale motivo i Suriboys, pur potendo contare su un bacino di ottimi giocatori, sono una delle peggiori rappresentative nazionali del globo (attualmente al 150° posto nel ranking FIFA)? Apparentemente la “colpa” è della legislazione in materia di nazionalità: per poter emigrare nei Paesi Bassi i surinamesi devono richiedere la cittadinanza olandese, che però perderebbero qualora tornassero ad assumere quella del Suriname, indispensabile per giocare in nazionale; chiaramente sono pochissimi coloro che decidono di rinunciarvi, anche perché la legge olandese permette di mantenere la doppia nazionalità solo in rarissimi casi. Lo stesso discorso vale per i figli degli emigrati, con l’ulteriore ostacolo dell’obbligo di residenza pluriennale in Suriname per chi desidera richiederne la nazionalità.
Sotto la superficie delle leggi e della burocrazia, però, emerge in tutta la sua arroganza il colonialismo sportivo imposto dai Paesi Bassi, che reclutano le giovanissime promesse del loro ex possedimento, le formano (e questo è innegabile) ma al contempo le tengono come prigioniere all’interno di un meccanismo che premia i migliori con la maglia oranje e impedisce agli altri di difendere i colori della propria terra d’origine. In patria restano solo i meno dotati, che non possono migliorare a causa delle strutture inadeguate e del carattere dilettantistico del campionato locale: perché stupirsi dei risultati deprimenti dei Suriboys?
Al momento ci sono circa 150 giocatori professionisti di origine surinamese tra Eredivisie e Eerste Divisie, più altri che giocano fuori dai Paesi Bassi. Un’ipotetica nazionale del Suriname (considerando anche chi ha già giocato con i Paesi Bassi) potrebbe schierare in porta l’ottimo Michel Vorm del Tottenham; in difesa il laziale Edson Braafheid, Virgil Van Dijk del Celtic, Dwight Tiendalli dello Swansea, Jeffrey Bruma del PSV e l’ex atalantino Urby Emanuelson; a centrocampo il milanista Nigel de Jong, Georgino Wijnaldum del PSV, Orlando Engelaar del Twente, l’ex meteora madridista Royston Drenthe, Evander Sno (ex Celtic e Ajax) e Leroy Fer del QPR; in attacco Jean-Paul Boëtius del Feyenoord, Ricardo Kishna dell’Ajax, Luciano Narsingh del PSV, Marvin Emnes dello Swansea, Quincy Promes dello Spartak Mosca, Jeremain Lens (che ha giocato alcuni match non ufficiali con i Suriboys prima di esordire con i Paesi Bassi) della Dinamo Kiev e i più conosciuti Ryan Babel, Eljero Elia e Romeo Castelen. Una formazione che, quantunque incompleta, potrebbe senza dubbio qualificarsi per un Mondiale e mettere pesantemente in difficoltà Stati Uniti e Messico nella Gold Cup centroamericana; la Surinaamse Voetbal Bond (SVB) appartiene infatti alla CONCACAF e non alla CONMEBOL, come la Guyana e la Guyana Francese.
Ultimamente qualcosa si sta muovendo, con il governo di Paramaribo al lavoro per modificare la legge sulla nazionalità per permettere al ct di turno di convocare i cittadini olandesi di origine surinamese o i cittadini surinamesi che hanno acquisito la cittadinanza olandese. Per il momento vari ritardi hanno impedito la promulgazione in tempo per le qualificazioni per Russia 2018, ma la campagna “Road to 2022” potrebbe essere quella buona.
Forse non manca molto al giorno del debutto mondiale del Suriname, “la nazionale più forte che non avete mai visto”.
PS L’attuale Presidente del Suriname è un certo Desi Bouterse… no, non è un omonimo: è proprio l’ex dittatore, eletto alle elezioni democratiche del 2010. Per chi volesse saperne di più c’è la pagina di Wikipedia, gli altri possono consolarsi al pensiero che non è solo il popolo italiano a difettare di memoria e pudore.
Si ringrazia il blog Calcio Olandese per le informazioni sull’Het Kleurrijk 11.
Christian Luglio 2, 2015
Grazie, articolo molto interessante! Ho solo un dubbio: sicuro che fossero 4 gli originari del Suriname nella rosa dell’88? Vanenburg non mi sembra lo sia!
Edoardo Molinelli Luglio 2, 2015 — Post Author
Grazie a te, Christian! Ti confermo che Gerald Vanenburg è di origini surinamesi, un suo cugino rimasto in Sudamerica (Roy) giocò per i Suriboys negli anni ’70. Un saluto!
Matteo Luglio 3, 2015
Non so…al di là della storia interessante e come sempre ben scritta, bravo Edoardo, mi sembra che alla fine il tutto si riduca davvero a questioni prettamente burocratiche, e scusatemi, anche di convenienza. Perché se il problema è il non avere la doppia nazionalità, basterebbe che i ragazzi del Suriname rifiutassero la cittadinanza olandese, un po’ come i kossovari e albanesi che giocano per la Svizzera. Alla fine a loro fa comodo la cittadinanza olandese (o svizzera) e tanti saluti alla nazionale di origine. Le regole olandesi sulla cittadinanza mi pare di capire, leggendo altrove, siano rigide per tutti, anche se uno fosse giapponese o altro, nel senso che non è stata fatta con lo scopo di trattenere i giocatori surinamesi. (Comunque anche se forse diversamente, anche altre nazionali potrebbero avere rose ben più attrezzate, ma non riescono grazie al passato colonialista (penso alle colonie francesi, inglesi, portoghesi…)
Edoardo Molinelli Luglio 3, 2015 — Post Author
Ciao Matteo, innanzi tutto grazie.
La questione mi sembra più complessa di come la poni tu. Primo, perché il Suriname non è in Europa, dunque rinunciare alla cittadinanza olandese significherebbe tornare ad uno status extracomunitario a dir poco penalizzante, non solo nel calcio. Secondo, perché i giocatori surinamesi emigrano quasi tutti in giovanissima età, dunque immagino che ci sarà qualcuno che decide per loro (genitori? Club? In ogni caso è normale che optino per la nazionalità olandese per i loro protetti). Terzo e ultimo, perché c’è un passato di colonialismo e migrazione di massa che fa storia a sé.
Chiaramente la legge olandese non è fatta ad hoc per i calciatori del Suriname, ci mancherebbe (il problema è che sia quella olandese che quella surinamese non consentono di avere una doppia nazionalità); però a parer mio è innegabile che la situazione risultante sia paradossale e non ci sia un grande impegno per cambiarla. Alla fine i Paesi Bassi hanno una riserva di calciatori di talento a costo zero che danno tanto in chiave nazionale e non credo che sarebbero felici di perderla. Un atteggiamento che a me pare erede diretto della mentalità colonialista che ancora permane nei rapporti tra le due nazioni (alla fine il Suriname è indipendente da 40 anni, un’inezia).
Che il discorso si potrebbe estendere anche ad altre ex colonie è vero a metà: in quei casi sono quasi sempre i giocatori a scegliere (il Portogallo invece dell’Angola, la Francia invece della Martinica, ecc) per questioni di opportunità, mentre i surinamesi non possono farlo, a meno di rinunciare alla cittadinanza con tutto ciò che ne consegue. La differenza è tutta lì. E la qualità che potrebbe avere la loro nazionale è incredibilmente più alta di tante altre realtà di quelle dimensioni.
Matteo Luglio 3, 2015
In effetti Edo probabilmente l’ho fatta più semplice. Indubbio che debba essere rivista la legge da entrambe le parti almeno per quanto concerne lo status di doppia nazionalità tra le due nazioni, mi spiego meglio, dovrebbero garantirsi a vicenda la doppia nazionalità almeno tra di loro.
Detto questo penso però che alla fine i giocatori, quelli finiti giovanissimi in Olanda, sceglierebbero ancora la nazionale Olandese.
Aggiungo che tanti quei giocatori, ai tempi forse, ma soprattutto oggi, guadagnano molto bene e sono ottimi giocatori, e non avrebbero problemi (non siamo più negli anni 70-80) a trovare altre destinazioni anche in Europa come giocatori extracomunitari, sarebbero equiparati ai vari sudamericani che giocano in Europa…
Però ripeto, la situazione va risolta. Anche solo per un concetto di “riparazione” da parte olandese nei confronti della popolazione sfruttata per secoli. Certo magra consolazione, ma un futuro anche per chi non ha la fortuna di avere piedi buoni verrebbe in parte garantito, o verrebbe quanto meno data una scelta…
Edoardo Molinelli Luglio 3, 2015 — Post Author
Io non so cosa sceglierebbero, non ho la palla di cristallo e credo che sia un campo molto personale. Sicuramente rinunciare alla cittadinanza olandese per i giocatori forti non sarebbe un problema, ma i calciatori surinamesi in Europa sono più di 150 e credo che per molti di loro sarebbe un problema.
Spero come te che i due governi possano risolvere la situazione, prima o poi.
Luca Gennaio 16, 2016
In effetti Gerald Vanenburg è un miscuglio di etnie ed è sicuramente di origini surinamesi. I suoi fratelli sono nati a Paramaribo, lui invece a Utrecht, dopo che i genitori si sono trasferiti in Olanda.
Sua nonna paterna era indiana e suo nonno paterno era per metà bianco e per metà cinese.
Fonte:
http://www.degoeieouwetijd.nl/8106_vanenburg.htm
Aggiungo che anche l’Ajax che vinse la Coppa UEFA nel 1991/92 aveva una forte componente originaria di quel Paese: Stanley Menzo, Aron Winter, Marciano Vink e Bryan Roy.
Edoardo Molinelli Gennaio 17, 2016 — Post Author
Grazie dell’ottimo contributo!