Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

Se le donne sono atlete, iniziamo a raccontarle come atlete

Caro Minuto Settantotto,

Vi chiederete: “Perché un dirigente di una squadra di Serie A femminile ci scrive pubblicamente? Che vuole?”

Scrivo a voi perché sul calcio femminile avete prodotto alcuni tra i migliori contributi a disposizione e mi piacerebbe creare un piccolo dibattito all’interno di una “comunità di lotta”.

Mi presento, mi chiamo Lorenzo Giudici e sono un dirigente della Florentia San Gimignano, squadra attualmente all’ottavo posto del campionato di Serie A. Il tema di questa lettera è riflettere su come i media che raccontano il calcio femminile non siano spesso d’aiuto per raggiungere l’obiettivo principale del movimento: la liberazione dello sport dal sessismo.

C’è un articolo di Anya Alvarez, pubblicato sul The Guardian, che titola: “Pensavo che il principale obiettivo negli sport femminili fosse l’equal pay. Mi sbagliavo”. E immediatamente chiarisce la provocazione: “Esiste un sessismo sistematico nello sport che finisce con una retribuzione ineguale, ma che inizia con il modo in cui le donne sportive sono raccontate dai media e commercializzate dalle proprie Federazioni”.

Per la giornalista la principale discriminazione si gioca dunque sugli investimenti in politiche culturali e commerciali legate alla promozione delle competizioni femminili. Il ragionamento è semplice: per realizzare il diritto a una carriera agonistica c’è bisogno di risorse che garantiscano alle atlete la possibilità di lavorare a tempo pieno con lo sport. E per creare questa solida base economica dobbiamo investire negli strumenti che servono ad attirare il pubblico, a farlo immedesimare, a farlo tifare.

La battaglia per il professionismo femminile passa così dalla qualità della narrazione.

Cosa accade nel nostro Paese?

Nonostante il buon lavoro di promozione attivato dalla FIGC negli ultimi anni, nei maggiori media troviamo pochissime tracce dei campionati femminili. Le due dirette a settimana di Sky e la possibilità di vedere tutte le gare sulla piattaforma TIM VISION hanno radicalmente migliorato la situazione, ma questa produzione non è adeguatamente sostenuta dal resto delle maggiori redazioni televisive, radio, della carta stampata.

E questo è un enorme problema, perché sono proprio i contenuti prodotti dai grandi centri mediatici a girare viralmente sui social network, a generare una lunga serie di contenuti collegati e quindi a diffondere capillarmente un argomento.

Mancando serie e puntuali cronache nei maggiori media, i contributi sul calcio femminile sono quindi affidati a piccoli siti internet o pagine sui social che spesso fanno un lavoro meritorio, ma volontario e quindi con oggettivi limiti, e a volte invece offrono delle proposte davvero discutibili, fortemente condizionate dalle agenzie di procuratori che si muovono attorno alle ragazze, dal tifo, da amicizie personali, da forte incompetenza.

Sono così assenti alcuni ingredienti che sono fondamentali per coinvolgere il pubblico: una puntuale e accattivante narrazione del campionato; degli approfondimenti sulle singole squadre; un sistematico spazio dedicato alla voce delle atlete. Ma la cosa che manca più clamorosamente sono le analisi tattico-tecniche. Non ci sono praticamente mai approfondimenti su come le allenatrici e gli allenatori preparano una certa partita, sulle soluzioni trovate in campo per risolvere alcune situazioni, sui gesti tecnici e le scelte che cambiano i match, sulle prestazioni atletiche sempre più di alto livello.

Uso come esempio la nostra partita di sabato scorso, persa 2 a 1 contro la Juventus. La gara è stata molto intensa e resa emozionate dall’incertezza del risultato. Non è un mio compito analizzare gli aspetti più specifici del gioco, ma da amante del calcio vorrei elencare alcuni stimoli che la partita poteva consegnare ai commentatori.

Dal punto di vista tattico la Juventus, per non rimanere ingolfata come l’anno scorso, ha cercato di allargare il campo, alzando spesso i terzini Boattin e Skovsen e creando delle catene laterali con Cernoia e Bonansea. Per la Florentia sono allora diventate fondamentali le uscite in pressione degli esterni alti, Cantore e Pugnali, che avevano il difficile compito di mettere pressione ai centrali difensivi in possesso di palla senza lasciare libera la linea di passaggio per Boattin e Skovsen.

Al contrario, la Florentia non voleva essere schiacciata, e sapeva così di non poter sempre cercare Martinovic con lanci lunghi da 40 metri, dal momento che su questi palloni Sembrant e Hyyrynen la prendono praticamente sempre. Bisognava dunque mantenere il possesso del pallone contro una squadra che difende in avanti e ti viene a pressare già dalla tua area di rigore. Era essenziale chiamare in causa il portiere nella circolazione di palla e, soprattutto, prendersi delle responsabilità in fase di costruzione: cosa che i difensori e i centrocampisti hanno fatto in modo straordinario, specialmente Dongus e Bardin.

Con questa lente, si assisteva a una bella partita a scacchi tra le due formazioni.

Dal punto di vista tecnico-tattico, si sono viste delle cose molto belle: un elegantissimo aggancio in salto di Bonansea e la successiva scivolata di Pisani per impedire la conclusione; il vantaggio della Florentia con un’azione partita dal portiere, 5 passaggi in velocità ad attraversare tutto il campo e il tiro di Wagner sotto l’incrocio (in questo gol è fantastica la scelta di Bardin: contro una squadra che difende in avanti ed è molto corta, se trovi un modo per saltare una linea di pressione poi diventi pericoloso); le accelerazioni di Maria Alves; il controllo assurdo di Caruso nel gol del pareggio. Tutte perle che sarebbero ampiamente valse il prezzo del biglietto. Proprio una bella partita di calcio. Di tutto questo, nei media troviamo pochissime tracce prima, durante e dopo.

Mi chiederete: ma perché ti sei dilungato in quest’analisi della partita, ricostruendo azioni delle quali a molte lettrici e lettori interesserà poco, se nella premessa hai dichiarato che stavamo ragionando intorno alla liberazione dello sport dal sessismo?

L’ho fatto perché secondo me il punto del conflitto sta proprio qui. Siamo in presenza di atlete che pur ai massimi livelli nazionali per decenni si sono allenate la sera, dopo il lavoro, in tempi e luoghi che avanzavano dalle attività maschili. Atlete che sono arrivate a quei livelli nonostante la sistematica operazione di “addomesticamento” che fin dalla prima infanzia il corpo femminile subisce quando si tratta di movimento libero e sfrenato e di consapevolezza della propria forza.

Sono arrivate a questi livelli proprio perché sono atlete e immagino quindi che abbiano l’aspirazione non solo di vivere come atlete, ma anche di essere raccontate come atlete.

Giocano una partita di calcio. Non è un evento di folclore, di cui ogni volta deve essere ricostruita la contestualizzazione storica, e nemmeno un evento di costume, in cui bisogna ogni volta approfondire il travagliato percorso fatto per arrivare dove si è. E’ in primo luogo una bella partita di calcio, dove atlete che stanno per diventare professioniste mettono in scena le loro competenze collettive, che sono di alto livello. E così andrebbe raccontata.

E’ vero che dietro ogni atleta c’è un mondo e c’è una storia, e sono cose belle da essere narrate, però quando giocano in primo luogo sono atlete e “atleta” vuol dire “Persona impegnata assiduamente o con intenti agonistici in attività sportive”.

Siccome il punto della questione in Italia (come altrove) è ancora purtroppo la possibilità per una donna di “vivere di sport”, credo che la capacità di narrare con qualità le gesta sportive di una atleta sia un ingrediente essenziale della battaglia.

Cioè, se non riusciamo a raccontare le donne come atlete, è come se non si riuscisse ad ammettere che le loro gesta siano degne di attenzione. Cioè, è come non assegnare piena dignità allo sport femminile.

Voglio concludere affrontando un tema caro alla comunità di Minuto Settantotto: la rivoluzione del linguaggio sportivo che possiamo riassumere con “bomberismo” e “ignoranza”. Ho trovato la vostra analisi ineccepibile: uno dei principali problemi di questa “retorica” è come mette a tema il ruolo della donna, nello sport e nella società intera.

Io trovo che ci siano delle profonde affinità tra il “bomberismo” e una delle scelte maggiormente in voga nei media nel trattare il calcio femminile. Si prediligono “le fiche”, si scelgono le foto dove “le fiche” giocano rivelando sensualità, malizia, corpi sessualmente esplosivi, che sono naturalmente cose belle, ma che non sono in prima istanza ciò che un’atleta vuole e deve esprimere su un campo da calcio, mentre svolge il suo lavoro.

Questo modo di raccontare lo sport lo rende molto simile alla diet-culture: un insieme di stereotipi che sottopongono i corpi ad auto-imposizioni, che rischiano di far sentire costantemente inadeguate/i, che trasformano atlete e atleti in ennesimi imprenditori di se stessi, affascinanti, attivi, sorridenti anche quando giochiamo a calcio.

Vi ho allegato due foto. Sono belle foto entrambe. Nella prima, due forti giocatrici del West Ham si abbracciano dopo un gol. Nella seconda, due forti giocatrici di Fiorentina e Florentia San Gimignano si affrontano in un duello aereo. Naturalmente, entrambe queste foto non hanno alcun problema. Rappresentano due aspetti della realtà. I problemi arrivano quando notiamo che si tende sempre di più a scegliere una foto come la prima come principale via per richiamare interesse sul calcio femminile. Quello che stona non è la foto, ma è il commento: “Non ti conosco, non so chi sei, ma so che [sei un bomber e quindi] farai lo zoom [sul culo di quella]”.

La seconda foto non viene scelta quasi mai. Eppure si vedono forme magari altrettanto belle. Come mai? A mio parere perché mostra che queste gambe, culi, spalle, braccia, seni, servono per saltare più in alto dell’avversaria e andare a schiacciare un pallone di testa. E’ una foto cioè dove il corpo impegnato nell’attività sportiva non è immediatamente funzionale al desiderio sessuale di chicchessia, ma è un corpo “funzionale” ai propri desideri, alla propria espressione di sé attraverso il movimento. Il corpo di un’atleta impegnata nella sua disciplina.

Dunque, caro Minuto Settantotto, vi scrivo perché credo che a questa nostra (mi ci metto dentro) “comunità di lotta” possa interessare soprattutto una cosa di tutta questa faccenda.

Prima di produrre In Utero, Steve Albini scrisse queste parole ai Nirvana: “Mi piace lasciare spazio agli incidenti e al caos. Fare un album impeccabile, in cui ogni nota e sillaba sono al posto giusto e ogni colpo di cassa è identico al precedente, non è un’impresa. Qualsiasi idiota con abbastanza pazienza e un budget che gli permetta di fare una tale idiozia può farcela. Io preferisco lavorare a dischi che aspirano a cose più grandi, come l’originalità, la personalità e l’entusiasmo”.

Attorno alla narrazione del calcio femminile mi sembra che si giochi una questione più universale che riguarda i corpi di tutti e tutte noi: valorizzare il nostro corpo come il luogo di una relazione decisiva con la propria personalità, con la propria originalità e il proprio entusiasmo. E con quella degli altri e delle altre. In questo momento, forse, battagliare per lo sviluppo del calcio femminile ha un significato liberatorio.

 

Lorenzo Giudici 

Direttore Marketing&Comunicazione Florentia San Gimignano 

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6 Comments

  1. Paolo Novembre 22, 2020

    non c’entra nulla la “diet culture”, ci sono corpi maschili e femminili fisicamente più belli e attraenti di altri, è oggettivo i corpi di molti atleti calciatori di ambo i sessi sono mediamente più attraenti, e anche i calciatori maschi sono oggetto di commenti femminili non c’è nulla di male. fermo restando che il bomberismo è roba becera e ha ragione sulla narrazione

  2. Alice Novembre 23, 2020

    Bell’articolo, ma magari anche iniziare con un linguaggio per cui il portiere, se donna, è “la portiera” (ci vorrà del tempo per abituarsi che non è quella dell’auto? Forse) e via di seguiro con la marcatura a uomo in un contesto femminile è a donna, le difensore e le centrocampiste, non sarebbe male.

    • Ado Agosto 22, 2022

      Sono d’accordo. Usare un linguaggio calcistico declinato al femminile non è un dettaglio, ma un ulteriore passo.

  3. Gianfry Dicembre 28, 2020

    … sì, certo, (quasi) tutto magnificamente correct … che brutta cosa riflettere, semplicemente, che il calcio è il calcio, e il calcio femminile è il calcio, per l’appunto, femminile … sessismo? “bomberismo”?? “diet culture”??? mah …

  4. Sabrina Aprile 9, 2022

    Grazie per il contributo veramente unico e interessante

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