Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

Que nada me interesa de alrededor.

Que nada me interesa de alrededor
y me subo a lo más alto de la locura,
me encuentro a mi princesa hablando con la luna
echándose carreras a ver quién es más
PUTA

Extremoduro

Dei mesi passati a Siviglia essenzialmente ricordo tre cose. La prima è l’unto dei bar o delle taverne del mio quartiere, molto vicino al centro, dove andavo a mangiare tutte le sere: Siviglia sarà sempre quell’alone di olio sulla carta gialla che impacchetta un fritto, una strisciata di grasso di prosciutto sull’involucro di un panino.

La seconda è Betta, una ragazza dell’Extremadura conosciuta in uno di quei locali; mi mostrò come il sesso andasse ben oltre la geometria euclidea, mi portò a dar manforte agli operai che protestavano contro i licenziamenti, mi introdusse ai club – “ribelli“, li chiamava lei – di Siviglia e soprattutto mi fece conoscere gli Extremoduro, dei quali conservo un verso della canzone Puta tatuato su un braccio: que nada me interesa de alrededor.

La terza è Frédéric Kanouté, a cui davvero sembrava non interessare niente, almeno sul campo da calcio.

Non mi ero mai appassionato a una squadra spagnola in particolare, da piccolo in sezione sentivo spesso qualcuno parlare dell’Athletic Bilbao e crescendo pensavo che per un come me, con le mie idee, i baschi fossero il team perfetto. Appena arrivai a Siviglia però sentii il calore del Ramon Sanchez Pizjuan anche perché abitavo a quindici minuti dal Nervión. La prima partita che vidi del Siviglia non fu esaltante, un pareggio interno non ricordo contro chi, ma l’atmosfera dello stadio mi portò inconsciamente a parteggiare per i rojiblancos.

Mi colpì al centro dell’attacco quel lungagnone di colore la cui statura era messa in risalto dai calzini scuri della splendida divisa del Siviglia. Slanciato, alto, ma incredibilmente magro, quasi anoressico. Sembrava isolarsi dal gioco, disinteressarsi dal resto ed entrare in meditazione fino a che non risultava essere decisivo. Danzava sulla palla e segnava pure parecchio. Mi interessai a Kanouté e venni a sapere che era un personaggio ostinato e contrario, come avrebbe cantato De Andrè, proprio a voler scomodare i vecchi maestri.

Sapevo che era nato in Francia da genitori del Mali ed era rimasto molto attaccato alle sue radici, tanto da aver accettato la chiamata della nazionale maliana, un po’ perché ai tempi quella francese era zeppa di fenomeni e un po’, volli pensare, perché anche questo rientrava nella sua visione del mondo di schierarsi sempre dalla parte di chi ne ha più bisogno – all’epoca non ero ancora un disilluso, vivevo meglio. Ricordo anche che i tifosi del Siviglia ne parlavano come di un uomo di grande cultura e molto alla mano, sempre attivo nel campo della beneficienza e molto disponibile coi fan. Era anche molto religioso, ma d’altronde non tutti sono perfetti.

La volta in cui, però, Frédéric Kanouté mi sbalordì più di tutte fu quella sera di martedì o mercoledì quando si giocava la Coppa del Re. A dire il vero non sbalordì solamente me, ma qualche migliaio di persone in tutto il mondo, compresa la federazione spagnola che non vide di buon occhio quanto fece Kanouté quella sera – e lo multò.frederic-kanoute-gracias

Pochi giorni prima, c’era anche Betta, ero stato a una specie di circolo a raccogliere delle firme o a fare una manifestazione (non ricordo cosa, nello specifico) contro l’Operazione Piombo Fuso. Quell’inverno Israele aveva deciso di colpire la Palestina per, ufficialmente, “generare più sicurezza intorno a Gaza”: l’obiettivo era neutralizzare Hamas ma il risultato era stato, come al solito, tremendo, un vero e proprio massacro.

Quando mi misi a sedere sulle tribune del Pizjuan stavo pensando a tutto fuorché a Israele o Palestina, mi volevo solo godere una gara tra Siviglia e Deportivo di coppa. Insomma, era il quarantesimo minuto quando Kanouté calciò male un cross dalla sinistra di Jesus Navas e lo mise alle spalle del portiere. Esultai, ormai tifoso sevillista anch’io, e vidi Kanouté ancora una volta imperturbabile, come se nulla potesse toccarlo in quel momento.

E invece si alzò la maglia del Siviglia e ne mostrò una nera sulla quale colsi delle scritte in arabo. Poi vidi, in stampatello, la parola PALESTINA. Smisi di esultare e applaudii, commosso.

Kanouté fu quella sera di gennaio la prima persona a prendere una posizione precisa nei confronti del conflitto tra Israele e Palestina, almeno la prima nel mondo del calcio. Mai mi sarei aspettato che una simile denuncia venisse fatta durante una gara di Coppa del Re da un giocatore del Siviglia e invece Kanouté aveva sorpreso ancora una volta tutti e si era fatto portatore di un ideale che condividevo, che ritenevo e ritengo giusto, fondamentale. Non servì a nulla purtroppo perché il massacro di Gaza andò avanti per qualche giorno e le vittime furono migliaia, almeno sul fronte palestinese, servivano per le elezioni di qualche settimana più

 tardi, per dimostrare che Hamas non era un problema ma qualcosa di facilmente debellabile.

Il gesto di Kanouté rimane ancora oggi uno degli atti di protesta e, se si vuole, ribellione più potenti visti su un terreno da gioco nel nuovo millennio. Aveva fato proprio come nella canzone degli Extremoduro: sembrava ancora una volta disinteressato dal gioco eppure aveva segnato e aveva gridato alla luna e la mondo un’ingiustizia. Un urlo lancinante come quel puta che si leva alla fine del ritornello.

kanout

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