Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

I’m a weirdo.

Se uno ci pensa, Ivan Ergic non sembra nemmeno un nome da calciatore. Ci si immagina di entrare in libreria, trovare uno di quei vecchi Adelphi dalla copertina azzurra con sopra la foto in bianco e nero di un pianoforte e il titolo in stampatello minuscolo “Il materialismo dialettico e le sovrapposizioni sulla fascia“, con sopra in maiuscolo il nome dell’autore, Ivan Ergic appunto. Sembra un nome da filosofo, da teorico, da scrittore o da pensatore. E invece Ivan Ergic, nato a Sibenik quando ancora era Jugoslavia, si è guadagnato da vivere facendo tutt’altro, vale a dire inseguendo un pallone e cercando di inserirsi tra le maglie avversarie, cosa che pure gli riusciva spesso vista la sua spiccata verve realizzativa.

Era un centrocampista ma avrebbe potuto scriverlo davvero quel libro, tanto era lontano dagli stereotipi del calciatore macho tutto macchine, foto sui rotocalchi e bionda maggiorata a fianco in qualsiasi momento. In un mondo dove vince chi ha l’orecchino migliore o più gelatina nei capelli, Ergic dopo un qualsiasi incontro col Servette si appartava per leggere o rileggere Camus e Sartre, per ascoltare le ultime dalla politica e per accrescere la sua più ampia cultura. Ergic era troppo per essere solo un calciatore, e per poco non ne è rimasto schiacciato.

Partiamo dagli inizi, perché Ivan Ergic cresce calcisticamente a Perth col Perth Glory prima che la Juventus di Luciano Moggi – strano il destino che unisce personalità così agli antipodi – lo tesseri e lo mandi prima in prestito e poi a titolo definitivo al Basilea, una delle squadre più forti in Svizzera e che nei primi del Duemila sta cercando di emergere anche in ambito europeo. E ci riesce, anche grazie all’aiuto del serbo-australiano Ergic, centrocampista di fascia che può giocare anche da mezzala e in campo è diligente e ordinato ma anche tosto, lontano da quella timidezza che traspare quando la partita finisce. Sì perché Ergic non è uno di quegli spiriti selvaggi partoriti dal calcio, un ambito che riesce a donare onnipotenza solamente con un lauto contratto. Ergic è un giocatore fondamentale per il Basilea ma non trascura le sue passioni, e le sue passioni non sono ubriacarsi e finire in tv a un reality o a uno show del prime time, a lui piace leggere e studiare e conoscere. Di sinistra da tutta la vita, gli si illuminano gli occhi quando legge Karl Marx.12200495_10206887531300179_1880820142_n

Un centrocampista che legge Marx sembra una favola scritta apposta per i nostalgici, ma è la pure realtà: Ivan Ergic è contrario alla visione capitalista del mondo in generale, ancor di più se si passa a parlare di calcio. Se non lo si vedesse nel weekend sgambettare al Sankt Jakob’s Park con la maglietta numero ventisette addosso, sembrerebbe uo della Scuola di Francoforte. Ma una personalità del genere non può affatto vivere senza problemi sotto l’ombra del dio pallone, perché Ergic è un uomo sensibile, ha una mente aperta e un modo di vedere la società diverso da quello dei compagni, abituati a etichettare come debole chiunque non segua i dettami violenti della vita da calciatore.

Sono due le date importanti nel corso della carriera per Ivan Ergic, il giugno del 2004 e l’aprile del 2005. All’apice del successo, Ergic scompare per quattro mesi. Già da tempo si sente male e c’è chi parla di mononucleosi ma la verità viene fuori solo a giugno, per l’appunto: Ergic viene ricoverato per quasi tutta l’estate in una clinica universitaria di Basilea per curare la sua depressione. È mai possibile per un calciatore essere depresso se ha soldi e fama? Sì, se quel calciatore è l’anticalciatore, è Ivan Ergic. C’è chi lo definisce un tipo strambo e c’è anche chi ci va giù pesante dandogli dell’omosessuale e del debole, solo per il fatto di essere crollato in un grande momento di pressione.

Il modello imperante del calciatore professionista, come afferma lui stesso, è un grosso stereotipo e una sorta di bolla su cui si basano tutte le convinzioni del calcio – uno sport che si basa sulle illusioni delle classi povere, sempre seguendo le parole del serbo. In questi quattro mesi i detrattori, quelli che inspiegabilmente mal sopportavano il suo amore per la lettura e le sue affinità con i giornalisti, ci danno dentro parecchio ma il Basilea, con un tocco di classe, non fa una grinza: lo tiene in rosa sotto contratto e gli dà pure la fascia da capitano al suo rientro, anche se lui la rifiuterà più in avanti.

Arriva poi l’aprile del 2005 ma stavolta non ci sono cliniche universitarie o malelingue di mezzo, c’è solo un impeccabile Kurt Aeschbacher e accanto a lui una sedia dove poco dopo andrà a sedersi un ospite. Si va in onda sulla SRF con un late show tutto svizzero, uno dei più seguiti e più interessanti di tutta la confederazione elvetica. Il 7 aprile 2005 Ergic si siede accanto a Aeschbi e inconsapevolmente cambia, seppur di poco ma quel poco basta, la storia del pallone: è la prima personalità del calcio a dichiararsi in maniera così esplicita.

12188593_10206887532020197_2014668384_nNel corso dell’intervista infatti Ergic parla del suo ricovero e dice di farla finita con il tabù della depressione nel calcio, poi quando sente l’intervistatore che parla di “critica al capitalismo” viene fuori tutta la sua indole e emergono le sue convinzioni. In diretta tv afferma che la sua principale fonte di ispirazione è Marx, che la sua è un gigantesca critica al capitalismo, che il calcio è in tutto e per tutto schiavo del capitalismo e che lui stesso non vuole indossare i panni del calciatore conformista. Ed ecco che quello strambo Ergic viene fuori una volta per tutte quando esclama: «Marx ha detto che il capitalismo avrebbe portato all’alienazione assoluta e alla distruzione della natura umana, aveva fortemente ragione».

Le parole di Ergic fanno eco eccome, tanto che arrivano critiche da una parte e dall’altra ma è come se si fosse liberato da un peso. Sceglie anche di non essere più convocato per la Serbia a causa del forte ultranazionalismo all’interno della nazionale, diventa sempre più una figura di spicco per chi intende il calcio non come un prodotto ma come un modo di vivere.

A Basilea nel 2009 non serve più un giocatore come Ergic che passa in Turchia al Bursaspor, vince una Super Lig, gioca la Champions League e poi a trent’anni si ritira da un ambiente che gli stava sempre più stretto e nel quale continuava a non riconoscersi. Chi fa il grande affare con Ergic però non è una grande squadra di calcio, bensì Politika, un quotidiano serbo che nel 2008 assume Ergic come editorialista. Lui, quel giocatore riservato e depresso, era riuscito nel suo intento, dare voce alle sue idee, anche se purtroppo non poteva più farlo in ambito calcistico.

Politika infatti è un quotidiano che non parla solo di sport come si può immaginare dal titolo e Ergic è libero di spaziare da Fromm ad Adorno a Deleuze fermo restando Marx sullo sfondo. Critica la competizione e la competitività del sistema pallonaro, spende parole durissime per il capitalismo calcistico e per la mercificazione del calcio moderno in cui una conferenza stampa ha la solita importanza di una partita, si scaglia anche contro la forzata virilità e mascolinità che fin da bambini impregna i calciatori: insomma, smette i panni di calciatori definitivamente e comincia a vestire quelli di pensatore a tutto tondo.

Perché pensare è quello che gli è sempre riuscito meglio, sia in campo che fuori. Forse, dicono alcuni, ha pure pensato troppo. Di sicuro ha pensato bene.

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