Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

Hopp, sei e rimarrai un figlio del capitalismo.

Vengono i brividi a pensarci, ma non è mai abbastanza chiaro: ogni esercizio di potere in funzione repressiva che segua una dinamica di attuazione dall’alto verso il basso è, nel migliore dei casi, inutile, nel peggiore la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale. E per parlare di fatti che ci disgustano profondamente, di comportamenti che riteniamo non avere niente a che fare con la società che vogliamo, di elementi tossici che contaminano spazi vitali per la socialità, dobbiamo averlo bene in testa. Deve essere chiaro a tutti che un sistema repressivo non definisce la sua bontà o meno nell’obiettivo che si sceglie, dobbiamo parlare tutti la stessa lingua quando ci guardiamo in faccia e ci ripetiamo che dagli sbirri – quelli in divisa e quelli per vocazione – non ci divide semplicemente il tesserino nel portafogli (o il fatto di non avere denunce per violenza domestica sulle spalle), ma un’idea di vedere il mondo che non si può permettere di prendere in considerazione un esercizio di potere verticale tramite la forza. Perché sennò facciamo la fine di chi festeggia l’apparato di sorveglianza e censura di Facebook Italia che oscura le pagine neofasciste italiane da una parte, salvo poi tagliare le gambe al sistema di controinformazione sul Rojava organizzato sul social pochi mesi dopo, mentre Erdogan bombardava bambini. Tu quoque, Mark, fili mi! Ma allora è proprio vero che non esistono poteri buoni!

Premessa all’ennesima riflessione sul razzismo nel calcio italiano, dove le due fazioni sono i razzisti contro chi vorrebbe Orwell negli stadi per individuare e punire ubriaconi, razzisti e detriti vari? No. Cioè sì, perché fa tutto parte dello stesso schema, ma a questo giro no. Ovviamente non perché ci manchi roba di cui parlare, la settimana appena trascorsa ci ha regalato uno scarso del Novara che cita Mussolini su Instagram in funzione anti-coronavirus (stiamo facendo cronaca: non siamo in grado di spiegarvela) e la stessa società che nel comunicato di condanna non parla di vergognose uscite filo-mussoliniane o preoccupanti rimandi al fascismo, ma di “uso improprio dei social”.

Lo striscione della discordia.

Il fatto che ha stimolato per l’ennesima volta la riflessione che apre questo pezzo però non è il solito verso da scimmia che anima giocondo le domeniche di grandi e piccini, ma tutt’altro. Ovvero l’attuazione del sistema repressivo all’interno degli stadi ipocritamente costruito con la bella faccia dell’anti-razzismo ma che, quando allo stadio non c’è nessun razzista (che abbia voglia di dimostrare a tutti il suo essere razzista), rimanendo nelle mani del potere costituito può rivolgere le proprie attenzioni a chiunque stia disturbando il programmato svolgimento degli eventi. Come, per esempio, quando gli ultras del gruppo Schickeria, Bayern Monaco, hanno contestato pesantemente il magnate proprietario dell’Hoffenheim, Dietmar Hopp, durante l’ultimo turno di Bundesliga.

Lo striscione, esposto con il Bayern in vantaggio di sei gol a zero sull’Hoffenheim, confessava al magnate un giudizio tutto sommato popolare tra chi vive gli stadi tedeschi: per noi resti un figlio di puttana. Risultato? Dopo delle patetiche trattative tra allenatore, calciatori e tifosi per rimuovere lo striscione l’arbitro Digert ha sospeso la partita per qualche minuto, una volta tornati in campo poi i calciatori delle due squadre si sono messi d’accordo per far passare i minuti mancanti alla fine della partita (che, ricordiamo, stava 6-0 in quel momento) passandosi la palla e applaudendosi tra di loro, mostrandosi compatti contro gli atteggiamenti della tifoseria. Giudizio condiviso da tutti, dall’allenatore del Bayern Flick (ex Hoffenheim) che a mezzo stampa apostrofa i suoi tifosi come idioti, dal momento che Hopp è un filantropo della ricerca sul cancro e quindi qualche loro familiare avrebbe potuto essere aiutato dai soldi del magnate (quando si parlava prima di sbirri in divisa e sbirri per vocazione si intendeva esattamente questo), da dirigenti bavaresi come Rumenigge, Kahn e Salihamindzic e da un po’ tutto il sistema calcio, con i giornali ovviamente in trincea.

Schickeria con striscione pro-rifugiati.

I tifosi del Bayern – non fa mai male ricordare che gli Schickeria sono un gruppo all’avanguardia per tematiche di sinistra nel panorama ultras tedesco – non sono però gli unici a non gradire la presenza nel calcio di Dietmar Hopp: nella stessa giornata la partita tra Union Berlin e Wolfsburg è stata sospesa per 6 minuti per striscioni contro Hopp, mentre in passato anche i tifosi del Borussia Dortmund sono stati in prima fila nelle proteste. La visione di questo fenomeno contestatorio acquisisce però il suo senso finale nell’unione di questa protesta con quella che vede determinati ambienti del calcio tedesco rifiutare con forza la presenza della squadra della Red Bull a Lipsia (e a Salisburgo, a New York, in Brasile etc etc), le cui dinamiche ante-successo le analizzammo qui. Tornando al nostro frizzante pomeriggio tedesco le prese di posizione che escono sono due: la prima, quella delle società e della Federcalcio, è “nel calcio non c’è spazio per l’odio“; la seconda, quella degli Schickeria e di tante altre realtà sparse in tutta la Germania, è “nel calcio non c’è posto per i magnati“. Gentlemen, you had my curiosity. But now you have my attention.

Striscione durante Union Berlin-Wolfsburg; il commento riguarda sempre la mamma di Hopp.

Ma chi è Dietmar Hopp e perché tutti lo odiano? Un’occhiata veloce al sito di Forbes ce lo presenta come il 96° tra i ricchi più ricchi del 2019 con un patrimonio di quasi 15 miliardi di dollari grazie alla fortuna tirata su con la società di software SAP (Systems, Applications, Products), ha un resort nel sud della Francia e un asteroide (!!!) che porta il suo nome. Informazioni utili: nonostante il fisico ormai ottantenne il magnate conserva ancora una pronunciata pancia borghese che, al momento della rivoluzione, riuscirà a sfamare – ad occhio – 6/7 affamati combattenti della Libertà. A fine secolo decide di investire nel mondo del calcio portando una realtà minuscola come quella dell’Hoffenheim a traguardi inimmaginabili come l’Europa a suon di investimenti su investimenti, di milioni su milioni. Si tratta quindi di invidia sociale o, al massimo, gelosia calcistica dettata dal tifo? Non proprio.

Hopp è infatti uno dei ricchissimi in prima fila contro la regola del 50+1 che storicamente caratterizza il modo di vivere e intendere il calcio in Germania. Questa regola infatti costringe le squadre di calcio tedesche ad organizzarsi secondo la forma dell’azionariato popolare dato che come minimo il 51% delle quote della squadra deve essere in mano ai soci – e quindi ai tifosi -, impedendo quindi agli investitori manovre eticamente e spesso legalmente discutibili basate semplicemente sulla quantità di denaro a disposizione. Le robe sulle quali noi fantastichiamo dopo un paio di birre di troppo, insomma. Hopp però non si è limitato semplicemente ad esporsi pubblicamente contro questa regola, ma è anche riuscito attraverso una deroga della Federazione a diventare a tutti gli effetti il proprietario della squadra grazie al riconoscimento dei costanti e importanti investimenti in venti anni di storia del club.

Cosa dovrebbe scatenarci questo fatto? Le conclusioni sembra quasi superficiale trarle: chi non ha capito che l’azionariato popolare, del quale la regola 50+1 è solo un’annacquata espressione, è l’unica maniera che rende il calcio sensato di essere vissuto da e come comunità significa che non mette piede in uno stadio da un pezzo, o magari la sua squadra non è fallita 3 volte in 5 anni e allora non può comprendere nemmeno una riflessione sulla sostenibilità del capitalismo nel calcio (e nella società). Uno spunto sarebbe interessante proporlo, però: ripensare i concetti di odio e di violenza togliendoli dalla sfera delle volgarità scritte su striscioni e collocarli nella sfera di giudizio di chi vuole allontanare il calcio dalla gente, mercificare passioni, togliere potere ai molti per tenerselo tutto lui. In seguito diffidare da chi si rifà alla repressione e alla sbirraglia per gestire problemi culturali: nessun razzista si ravvedrà mai in una caserma, più probabile lo faccia davanti ad un libro o al massimo ad uno schiaffo. Anche perché i sistemi repressivi sono per loro natura conservatori, zelanti tutori delle categorie più alte possibile e tristi funzionari con quelle più in basso che per qualche ragione non ancora finite nel loro mirino. Efficienti nella conservazione delle specie, del potere, fallaci nelle sue funzioni più basse. Come quando una settimana prima degli insulti ad Hopp Jordan Torunarigha, difensore di origini nigeriane dell’Herta Berlino, si è preso i soliti buu razzisti nella sfida contro lo Schalke 04. L’arbitro ha sentito tutto, ha preso nota e tutto è proseguito. Tutto normale, o al massimo normalizzato, in questa barzelletta.

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2 Comments

  1. Gatto Marzo 3, 2020

    Sono d’accordo sul sostenere la battaglia contro gli Hopp e ciò che rappresentano (50+1, Capitalismo arrogante, sistema economico insostenibile, eccetera) ma non sono d’accordo, e non lo sarò mai, nel coinvolgere nella battaglia la mamma di Hopp 🙂

    Il punto è che per portare avanti proteste credibili si deve tenere un comportamento e avere un’attenzione maggiore che non quella utilizzata in una curva abituata invece a inneggiare e esaltare GIUSTAMENTE obbiettivi faziosi e indiscutibili legati alla squadra del cuore.

    Se invece di scrivere “Hopp Figlio di P….a” avessero scritto “Hopp non ci arrenderemo mai alla tua prepotenza, sei un fuorilegge perchè l’Hoffenheim è del 50%+1 dei tifosi.” sfido qualsiasi arbitro, qualsiasi squadra e qualsiasi media a reprimere questa protesta o a interrompere la partita.

    Il “come”, oltre ai valori, sono la differenza tra la destra e la sinistra, per me.

    Ciao
    Fabrizio

    PS: complimenti comunque per il sito e gli ideali, continuate così.

  2. Sendling Marzo 12, 2020

    Potevano dirgli tutto ma lasciar stare la madre…
    Massimo rispetto per gli Schkickeria ma…
    1)Uli Höeness…dovrebbe stare in prigione ed è la vergogna del club dovrebbero ricordarglielo ogni partita…
    2)il Bayern ha un atteggiamento sul mercato tedesco a dir poco IMBARAZZANTE e negli anni ha portato via al Borussia Hummels ( che odiava il Bayern), Götze,Lewandowsky…senza chiedere nulla ma pagando le clausole di rescissione…
    3)il monaco 1860 non riesce proprio a trovare un investitore Bavarese…chissà come mai.

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