Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

Fuga dalla Mansión Seré.

Oggi Claudio Tamburrini insegna Filosofia all’Università di Stoccolma, in Svezia, dove il suo nome così atipico in mezzo a tutti quegli Andersson non può passare inosservato. Tamburrini ha una sessantina d’anni, lo sguardo stanco ma fiero di chi ne ha viste più di quanto avrebbe dovuto e i capelli grigi tirati indietro e ormai radi sulla parte superiore della testa. Ogni tanto si lascia crescere una leggera barba incolta ma forse è più per dimenticanza che per altro, eppure il tutto gli dà proprio l’aria da perfetto professore di Filosofia.

Parla un inglese buono ma non perfetto, come tutti i latini che si avventurano nelle lingue germaniche, rimangono pur sempre quelle basi – di spagnolo, in questo caso – che si sentono e si sentirebbero anche se Tamburrini parlasse inglese per altri trecento anni.

Tamburrini è argentino e, anche se dalla apparenza non sembrerebbe, non è nato per fare il professore di Filosofia e nemmeno per abitare in Svezia, che da piccolo ammirava en passant sulle carte geografiche. Lui voleva fare il portiere, e per un certo periodo di tempo c’è pure riuscito. Poi però c’è stata la Mansión Seré, e la sua vita è cambiata irrimediabilmente.

Claudio Tamburrini nasce poco fuori da Buenos Aires, nella cittadina di Ciudadela, nel 1954. E se si nasce in quell’anno in Argentina significa che si è vissuto in un’epoca che gli argentini – purtroppo non tutti gli argentini – non vorrebbero rivivere mai più.

Inizia a giocare a calcio da piccolo, ma senza tralasciare gli studi: ha una certa passione per i classici e per i filosofi e come loro usa spesso l’ingegno, anche se non sui campi di pallone perché il ruolo gli impone un certo rigore. Fa il portiere Claudio Tamburrini e il Club Ciudadela Norte è fiero di lui e del suo rendimento, tanto che il passaggio nelle giovanili del Velez Sarsfield non sorprende più di tanto, Claudio è forte e si merita una squadra di livello.

Oltre a essere un buon portiere è anche un ottimo studente e un ragazzo dalla mente aperta in un periodo in cui in Argentina le cose non si mettono per il meglio: si diploma al collegio e inizia a studiare Filosofia all’Università di Buenos Aires e, così vuole la leggenda nemmeno poi così lontana dalla realtà, si allena di giorno per poi curvarsi sui libri di Marx e Hegel la sera, sfinito nel fisico ma claudio tamburrininon nella mente. Comincia anche a maturare una coscienza politica perché è di estrazione proletaria e si affeziona a idee di sinistra, diventando uno dei tanti ad abbracciare il marxismo in una delle università più di sinistra di tutta Buenos Aires. E questo non va per niente bene.

Studia sempre di più, gioca sempre meno. Il Velez lo saluta e lui se ne va all’Almagro dove scende in campo con regolarità e sembra essere tornato l’erede di Carnevali di cui si parlava ai tempi delle giovanili, ma una domenica è protagonista di un caso singolare e subisce gol su punizione proprio mentre è impegnato a tirarsi su i calzettoni in preparazione al calcio piazzato.

La settimana successiva torna ad allenarsi distrutto per l’errore, una sera torna a casa e si rimette a studiare a capo chinoquando alla sua porta bussano due uomini armati di tutto punto che lo prendono, lo montano in un’auto e lo incappucciano.

Tamburrini è frastornato, non capisce niente di tutto quello che sta succedendo e ancora meno capisce perché l’unica volta in cui gli tolgono il cappuccio gli mostrano la casa della madre, al cui esterno stazionano due automobili sospette. Vorrebbe piangere, vorrebbe gridare, ma invece è bloccato dalla paura e non sa esattamente cosa fare, fino a quando gli tolgono di nuovo il cappuccio e lui la vede, la Mansión Seré.

È la sera del 23 novembre del 1977 e Claudio Tamburrini entra nella storia come il primo calciatore professionista desaparecido.

Videla è al potere da più di un anno, i militari controllano l’Argentina, ma anche in un clima così cupo e teso Tamburrini è certo di non

aver commesso nulla di male. Sì, è di sinistra ma non ha mai compiuto atti contro il potere, studia filosofia ma la sua università, checché se ne dica, è più apolitica di quanto si pensi.

Eppure nel suo ateneo c’è un ragazzo che si chiama Tano, che i militari li sopporta poco e il suo sentimento è ampiamente ricambiato. Una sera gli uomini armati hanno fatto irruzione anche da Tano ma sono stati meno drastici, prima lo hanno torturato e poi lo hanno minacciato di morte, lui e i suoi amici. E Tano, in un momento così delicato – giusto per usare un eufe

mismo -, ha deciso di vuotare il sacco, ma di non dire proprio tutto. Tano infatti ha denunciato, tra i tanti, Claudio Tamburrini, il portiere dell’Almagro, una delle persone più in vista all’università anche per la sua professione. Di Tamburrini si sa poco o nulla a livello politico ma basta una controllata all’agenda di Tano e il portiere è fregato.

Tamburrini ovviamente tutto questo lo saprà solo in seguito, perché gli ultimi giorni del 1977 e i primi del 1978 sono l’inferno: viene segregato assieme ad altri prigionieri politici nella Mansión Seré, un centro di detenzione clandestina che ha tutti i crismi di un lager gestito da estremisti di destra – e anche qui si usa un eufemismo. Mansión Seré altresì detta Atila.

Alla Mansión Seré Claudio Tamburrini subisce di tutto. Lo torturano, questo è certo, ma sono i metodi a essere irreali per quanto crudeli. C’è uno dei torturatori che si chiama Lucas ed è proprio il frutto della malvagità del regime, è uno di quei codardi che diventano onnipotenti grazie alla divisa e ogni giorno quando Tamburrini non risponde alle domande delle guardie – e non può rispondere, è evidente che non lo possa fare visto che certe cose non le sa – si avvicina al calciatore disteso in terra e gli dice “Si sos arquero atajate esta“, se sei un portiere para questa, e gli assesta un calcio nella pancia. Lucas è lo stesso che obbliga Tamburrini e gli altri detenuti a ringraziarlo dopo ogni tortura subita, torture che si ripetono per giorni, settimane e mesi.

 

Tamburrini vive nell’incertezza più totale: non sono è ancora all’oscuro del perché si trovi lì, ma non sa neppure quanto vivrà ancora e se sopravvivrà. Ma un giorno Guillermo Fernandez, compagno di Tamburrini ad Atila, ha un piano per loro e per gli altri due prigionieri Daniel Rusomano e Carlos Garcia.

Quasi quattro mesi esatti dopo l’arrivo alla Mansión Seré, Tamburrini è sfinito sia a livello fisico che mentale. Sembra un morto che cammina ma non ha perso la speranza, né lui e nemmeno gli altri compagni, bollati troppo presto come ribelli quando magari erano solo simpatizzanti o parteggiavano per ideali di sinistra senza per forza doversi nascondere.

Fernandez vuole scappare e architetta una fuga che sembra quasi da film per quanto è facile: legano dei lenzuoli e li calano da una finestra del centro, approfittano di un immancabile attimo di disattenzione delle guardie e scendono, completamente nudi, aggrappati alla corda che fino a poco prima era una coperta neppure così pesante. Fernandez ha il colpo di genio e prima di sparire scrive un enorme Grazie Lucas su una parete della cella, una beffa al carceriere più infame e, se si vuole, anche al più bieco regime della storia argentina. I quattro spariscono nella notte di Castelar, poco a nord di Baires, ce l’hanno fatta come in un cartone animato e adesso sono liberi.

Tamburrini lascerà l’Argentina e fuggirà in Svezia, dove vive tuttora. Gioca ancora a calcio ma a livello amatoriale, più che altro è la storia del pensiero politico a occupare i suoi momenti di svago. Ogni tanto pensa alla Mansión Seré, è impossibile dimenticarsene e smettere di parlarne.

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2 Comments

  1. Martino Giuliano Febbraio 16, 2017

    Una storia incredibile!!! Mi piacerebbe tanto conoscere el arquero

  2. Edoardo Molinelli Febbraio 25, 2017

    È professore universitario a Stoccolma 😉

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