Per trovare Eibar è necessario utilizzare una carta geografica specifica della zona nord della Spagna, perché nelle mappe meno dettagliate non appare mai. Con soli 27.000 abitanti, d’altra parte, come potrebbe ambire al “pallino” riservato alle città principali?
Eibar è una località industriale, non particolarmente bella, e non ha molti monumenti di interesse rilevante. Cosa logica, purtroppo, alla luce delle tremende devastazioni che subì durante la Guerra Civile. Devastazioni tutt’altro che casuali: la città fu infatti uno dei principali riferimenti del socialismo iberico in forza di una vocazione industriale presente già dalla fine del 1800, e nel 1931 proclamò per prima la Repubblica, cosa che le fece meritare il titolo onorifico di “Muy Ejemplar Ciudad”.
Una piccola città, di sinistra e repubblicana. Ma anche un luogo unico per il calcio, che nella valle del basso Deba ha trovato un terreno estremamente fertile, producendo risultati quasi sproporzionati rispetto alle dimensioni effettive del posto. Se Londra è la capitale del football dall’alto del numero enorme di club che vi giocano (vedasi il bel libro omonimo di Gianni Galleri) e Rosario, almeno secondo Buffa, si merita il titolo di patria del calcio, per noi non c’è dubbio: la vera città del futbol (senza accento, è euskara!) è solo Eibar.
La leggenda di Eibar come fucina di talenti nasce nella seconda metà degli anni ’20, quando il calcio basco era il motore trainante dell’intero movimento iberico. Il settore giovanile dell’Unión Deportiva Eibarresa, antenata dell’attuale SD Eibar, vide emergere quattro giocatori straordinari, in grado di raggiungere i massimi livelli del calcio nazionale. I loro nomi erano Ciriaco Errasti, José Mugerza, Roberto Etxebarria e Ramón Gabilondo. Ciriaco, difensore straordinario, indossò per anni la maglia del Real Madrid, i mediani Mugerza e Roberto furono due colonne dell’Athletic Club campione di tutto negli anni ’30, mentre Gabilondo si affermò dopo la guerra e divenne elemento insostituibile dell’Atlético Madrid. Tutti e quattro giocarono in nazionale e i primi due disputarono da titolari i Mondiali del 1934. Il 14 giugno del 1930 Ciriaco, Roberto e Mugerza scesero in campo nella stessa partita (Cecoslovacchia-Spagna 2-0): Eibar, che allora contava appena 13.000 abitanti, aveva appena dato tre giocatori su 11 alla rappresentativa nazionale del proprio paese. Difficile trovare informazioni in merito, ma se non è un record assoluto poco ci manca.
Nel dopoguerra, e per essere più precisi nel 1939, mentre la città gipuzkoana tentava di tornare alla normalità venne alla luce Alberto Ormaetxea, una delle figure più importanti e affascinanti della storia del calcio basco. Difensore di buon livello con le maglie di SD Eibar e Real Sociedad, Ormaetxea divenne allenatore della squadra di Donostia nel 1978 e la condusse al periodo di maggior successo della storia del club: in sette anni vinse per due volte la Liga, raggiunse le semifinali della Coppa dei Campioni (fu eliminato dai futuri campioni dell’Amburgo) e si aggiudicò la prima edizione della Supercoppa di Spagna. Ormaetxea lasciò la Real nel 1985 e si ritirò dal calcio un anno più tardi; i txuriurdin lo hanno omaggiato con la costruzione di un monumento commemorativo fuori dallo stadio Anoeta, il giusto tributo per un uomo che scrisse la storia.
A Eibar è legato anche il nome di José Eulogio Gárate, fenomenale bomber dell’Atlético Madrid negli anni ’70. Gárate, nipote del già citato Mugerza, nacque in Argentina durante una visita dei genitori al nonno, ex teniente de alcalde (una sorta di vicesindaco) di Eibar in esilio a causa della propria fede repubblicana, ma tornò nella città di origine della famiglia a pochi mesi di età. A causa della nascita su suolo straniero e di vari problemi di naturalizzazione venne a malincuore scartato dall’Athletic, la squadra dei suoi sogni, e finì nei colchoneros, con i quali vinse tre campionati e tre trofei di capocannoniere.
Nella decade seguente, quella dei ’50, a Eibar emersero altri due grandi talenti destinati a segnare il calcio basco: Agustín Gisasola giocò tredici stagioni nell’Athletic, con il quale vinse una Coppa nazionale e una Liga, mentre Diego Álvarez (nato in Galizia, a Monforte de Lemos, ma trasferitosi bambino sulle rive del Deba) fu una colonna della Real Sociedad bicampione all’inizio degli anni ’80. Alla generazione successiva appartengono invece Alberto Albistegi e José Antonio “Pizo” Gómez, entrambi classe ’64: il primo, roccioso centrale di tipica scuola basca, difese tra le altre le maglie della Real Sociedad e del Deportivo de La Coruña, il secondo fu invece un jolly preziosissimo per molti club di Primera División come Athletic, Osasuna e Atlético Madrid.
E arriviamo ai giorni nostri. Di Eibar sono Markel Susaeta, bandiera dell’Athletic Club contemporaneo, e suo cugino Néstor (attualmente all’Oviedo); Alex Albistegi, nipote di Alberto, in forza al Reus; Iñigo Ruiz de Galarreta, ex grande promessa dell’Athletic, massacrato dagli infortuni alle ginocchia e ora al Numancia; Jon Errasti, mediano senza fronzoli dello Spezia, nella serie B italiana; e infine Mikel Oyarzabal, la nuova stella della Real Sociedad e del calcio basco, titolare a 18 anni e già capace di esordire in nazionale maggiore: il segno tangibile di come la piccola città gipuzkoana continui a sfornare giocatori di valore, in ciò perfino più produttiva delle proprie industrie. Anche il calcio femminile è stato più che degnamente rappresentato dall’eibarrese Maider Castillo, una vera leggenda del Levante Femenino e di tutto il movimento iberico: il ritiro nel 2015 ha messo la parola fine a una carriera lunghissima e fortunata, con due vittorie in campionato, quattro in coppa e il terzo posto agli Europei del 1997 con la nazionale.
Ma Eibar non è stata solo la terra natale di un numero altissimo di grandi talenti (senza contare i tanti ottimi giocatori professionisti che non abbiamo citati per motivi di spazio). La squadra di calcio cittadina, che gioca nel piccolo e caratteristico stadio Ipurua, è infatti un monumento del futbol iberico, avendo trascorso 28 stagioni in Tercera División, 7 in Segunda B e 26 in Segunda (18 delle quali di seguito, un record). Tre anni fa arrivò la prima promozione nella massima categoria e, con essa, un enorme problema: la Ley del Deporte obbligò infatti il club ad ampliare il proprio capitale sociale di 1,7 milioni di euro, pena la retrocessione in terza serie. Fu allora che sorse il cosiddetto Modello Eibar, un sistema di gestione che si basa sull’azionariato popolare e impedisce che un socio possegga più del 5% del totale. La campagna di salvataggio lanciata dal direttivo raccolse i soldi necessari in tempo, accumulando 11.000 azionisti da tutto il mondo: Eibar divenne così la città più piccola ad aver mai avuto una squadra nella Liga. L’impatto con la categoria fu duro e, dopo un ottimo girone di andata, gli armeros retrocessero; tuttavia, per quello che potrebbe essere chiamato uno strano caso del destino, furono ripescati a discapito dell’Elche, travolto dai debiti, riuscendo a guadagnare una tranquilla salvezza l’anno successivo e a garantirsi il terzo anno consecutivo di Primera División. Un risultato incredibile per un club tanto piccolo, stretto tra Athletic e Real Sociedad tanto quando la città lo è tra Bilbao e Donostia. Eppure l’Eibar resiste: alle pressioni delle due principali squadre di Euskadi, che spesso guardano a Ipurua solo come a una riserva di caccia; alle difficoltà poste dal calcio-business odierno; alla competitività estrema di uno dei tornei più duri e difficili del mondo. Eibar resiste perché non sa fare altro, consapevole che essere dov’è ora vale più di tutti i titoli del mondo.