Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

Bruno Neri, solo di cognome. Storia di un calciatore morto e vissuto partigiano.

Per parlare di Bruno Neri bisogna partire per forza dalla fine, a Gamogna nella Romagna toscana, un pugno di case in pietra vicino a Marradi.

Ci sono gli alberi in fiore, fa molto caldo e la luce del sole filtra tra i rami rischiarando uno spiazzo dove si trova, riverso a pancia in giù, il vicecomandante Berni del Battaglione Ravenna. Al suo fianco, anche lui esanime, il comandante Nico. Questi altri non è che il partigiano Vittorio Bellenghi, l’altro invece, il Berni, è proprio Bruno Neri.bruno neri

Nato nel 1910 a Faenza, da quando era piccolo non aveva fatto altro che correre dietro un pallone, tanto da arrivare in Serie A alla Fiorentina. Ma per raccontare veramente chi, ma anche cosa, è stato Bruno Neri è obbligatorio partire da Gamogna. Dalla perlustrazione che lui e Bellenghi detto Nico devono fare sul Monte Lavane per recuperare dei pezzi di un aviolancio degli alleati. Da quel 10 luglio 1944 in cui, a soli trentaquattro anni, il petto di Bruno Neri che tanti palloni aveva stoppato nella sua florida carriera di mediano, non è riuscito a far forza contro le raffiche degli Schmeiser nazisti. Per parlare di Bruno Neri bisogna parlare di Resistenza.

Nel 1931 la Fiorentina gioca allo Stadio Giovanni Berta la gara inaugurale del nuovo impianto, la cui costruzione è stata fatta ad hoc per il Duce, tanto che a vederlo dall’altro il Berta non è altro che un gigantesca D che pullula di fascistissimi tifosi. Sono anni ruggenti per il Fascismo in Italia, a nove anni dalla Marcia su Roma ormai il potere è stabilmente nelle mani di Benito Mussolini e ogni attività contraria al regime è vista di cattivo occhio e, dunque, rimessa in riga a suon di maniere forti. In quel pomeriggio del 1931 a Firenze ci sono tutte le autorità fasciste anche se manca il Duce in persona, del quale si era vociferata la presenza. Nella viola gioca un giovanissimo centrocampista nato a Faenza e cresciuto nel Faenza – anche se a dire il vero aveva la passione per le auto e aveva studiato agraria. Dopo il passaggio al Livorno era approdato alla Fiorentina della quale era il perno davanti alla difesa. Bruno Neri si chiama, e quel giorno del ’31 ha deciso che per lui anche un semplice saluto è un atto di propaganda da combattere.

Le squadre si schierano in campo e quando c’è da tendere il braccio Bruno Neri rimane con le mani ai fianchi, conscio di aver dato una piega decisa alla sua carriera e alla sua vita. Neri, nonostante il cognome possa indurre in errore, ha un cuore rosso e grande come quello di un bove.

È antifascista, cristiddio, dichiaratamente e orgogliosamente antifascista.

neri

Bruno Neri è calciatore ma sotto a quella maglia viola c’è un uomo con degli ideali e anche degli interessi. Si dice che frequenti degli ambiti particolari del mondo dell’arte e della cultura: ama Montale, studia Campana, legge un giovane Pavese, si diletta di pittura e anche di recitazione, intrattenendosi spesso con attori o artisti. Non è un semplice mediano, riesce a coniugare la sua straordinaria abilità di interdizione sul campo a una raffinatezza culturale senza eguali, atipica anche negli anni Trenta. Gioca anche in Nazionale il Neri, tre partite tra il 1936 e il 1937 prima di passare al Torino e chiudere la carriera giusto qualche anno prima che il Toro diventi la squadra più forte della storia d’Italia. Lascia il calcio, definitivamente: rileva a Milano un’officina e la porta avanti finché i tempi lo permettono. Poi, per un terribile scherzo del destino si trova ancora a dover lottare con gli avversari, a parlare di manovre di accerchiamenti, di attacchi e di difese.

Stavolta però il calcio non c’entra e la battaglia non è metafora di pressing asfissiante e di ruvidità da mediano, è quella vera, è la guerra. La guerra sui monti.

La fascistissima Italia decide di rimanere a guardare e spera in una blitzkrieg degli alleati nazisti, un gesto veramente onorevole per una nazione che fa dell’intrepidezza e dell’orgoglio i suoi massicci punti di forza. Al momento dell’entrata in guerra Neri ha già ripreso contatti con il calcio perché nel tempo libero allena il Faenza, ma segretamente collabora con le forze antifascista, con le mani mai protese verso il cielo, semmai serrati in un pugno e, forse, nascoste nelle tasche. Il cugino Virgilio gli fa conoscere Giovanni Gronchi e don Luigi Sturzo e, proprio grazie a queste nuove amicizie, dopo l’armistizio di Cassibile del 1943 Neri sa che scelta fare: quella giusta.

Niente Salò, si va sui monti a fare resistenza ai nazisti e ai fascisti.

Dino Fiorini per dirne uno è un centrocampista del Bologna e si aggrega ai repubblichini, non lo ritroveranno mai anche se è certo che sia stato fucilato. Neri è un uomo contro, un mediano che, per quanto il ruolo del mediano imponga certi dettami precisi e rigidi, si ribella alle convenzioni.

Il 10 luglio 1944 è con Bellenghi a Gamogna, fuma un bel po’ di sigarette mentre imbraccia lo Sten. Non sente arrivare i nazisti, forse non sente nemmeno la raffica che gli attraversa il corpo.

Adesso a rendergli omaggio c’è una lapide.

Troppo poco.

Eremo_di_gamogna

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2 Comments

  1. daniele casadei Gennaio 7, 2017

    non dimentichiamoli mai!sono morti per noi
    !!!

    • roby Luglio 6, 2018

      pag.20 lo sport fascista settembre 1933 c’e’ la foto della nazionale italiana goliardica a torino.
      si vede chiaramente che neri fa il saluto fascista.con lui si riconoscono foni,pizziolo,varglien,ottani e borel secondo.
      italia in maglia completamente nera.
      omissione di verita’…

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