Minuto Settantotto

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Il Kaiser, i ragazzi di Modì e la magia liberata dalla menzogna di essere verità.

“L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”

Theodore Adorno

 

I livornesi sono gente di scoglio, la sabbia piace di più ai pisani che vanno a Tirrenia. L’estate il livornese dimentica la crisi e la fame nel mondo e rabbrividisce esclusivamente all’idea dei granelli di sabbia nei “diti” dei piedi (la grammatica a Livorno è da borghesucci o, come diceva Piero in Ovosodo, roba che ti bolla come finocchio). Forse questa è l’unica differenza che riesco a vedere tra Rio de Janeiro e Livorno. Tra Pietro, Pierfrancesco, Michele e Carlos.

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Pietro Luridiana, Pierfrancesco Ferrucci e Michele Guarducci.

Nell’estate dell’84 a Livorno si festeggiava l’anniversario della nascita dell’artista più importante nato all’ombra dei Quattro Mori. Lo stesso artista che nel 1909 in preda ad una crisi creativa e frustrato per l’atteggiamento dei concittadini gettò alcune sue sculture sul fondo del Fosso Mediceo prima di scapparsene da quella città che mai lo aveva capito e rifugiarsi a Parigi. Si chiamava Amedeo Modigliani, per tutti Modì. Livorno poi Modì lo amerà alla follia senza mai dirlo ad alta voce. Lo amerà con delle mostre a Pisa. Lo amerà male. Lo amerà poi, dopo. Ma lo amerà. Lo amerà soprattutto omaggiandolo con il tributo più grande che possa esistere: con la leggerezza.

Il Museo d’Arte Moderna per l’occasione decide di dedicare una mostra proprio all’illustre concittadino e che per la sua riuscita contava moltissimo su queste sculture nel fondo del Fosso. Vera e Dario Durbè, responsabili della mostra, con l’appoggio finanziario del Comune di Livorno scatenano una caccia al tesoro per le putride acque del Fosso alla ricerca di quello che sarebbe stato un ritrovamento di importanza mondiale e soprattutto la spinta ad una mostra che mancava di opere di rilevanza. Passano i giorni e le escavatrici sembrano avere il solo compito di ricordare ai livornesi dove finivano i soldi delle loro tasse, finchè Livorno non decise che se la Durbè non sarebbe andata dalle Teste, le Teste sarebbero andate dalla Durbè.

“Visto che non trovavano niente, abbiamo deciso di fargli trovare noi qualcosa”.

Pietro Luridiana, Pierfrancesco Ferrucci e Michele Guarducci sono tre studenti universitari livornesi che, Black&Decker alla mano, un pomeriggio particolarmente vuoto decisero direplicare una delle sculture di Modigliani, una testa. Al momento del ritrovamento della scultura i maggiori critici d’arte nazionali e non non ebbero nessun dubbio. “Guardi il tratto, guardi la pressione dello scalpello. Non c’è nessun dubbio, è un Modigliani”. A Livorno si dice “ma ti levi di ‘ulo”.

In quel momento Livorno perse l’appeal che aveva per i critici d’arte e raffinati intellettuali, riscoprì però parallelamente l’importanza della leggerezza e probabilmente si fece perdonare da Modì. La nostra storia però si sposta verso ovest e attraversa un oceano. Nel 1986 a Rio de Janeiro c’è chi va professando ugualmente la leggerezza. Si chiama Carlos Henrique Raposo ma per tutti è “Kaiser”, magrolino come Beckenbauer.

Carlos è un ragazzo di poco più che venti anni che nella sua vita è riuscito finora a equilibrare alla perfezione le giornate sui libri, affamato di cultura, e le nottate in discoteca, affamato di divertimento. Carlos però nella vita non vuole fare né il PR né il professore. Vuole fare il calciatore, anche se purtroppo a calcio non ci sa giocare.

kiaserGrazie a delle conoscenze importanti come quelle di Mauricio (idolo del Brasile anni ’80) riesce a strappare un assurdo contratto con il Botafogo senza neanche fare un provino. Anzi, senza neanche fare un allenamento. Perchè toccando un pallone la truffa di Carlos si sarebbe sciolta come neve al sole lasciandolo con l’enorme fardello di trovarsi un lavoro. Una volta entrato in campo per allenarsi con i compagni faceva la sua preparazione atletica e poi una volta che si passava al pallone si accasciava in terra. “Vado a fare la doccia mister, ci vediamo lunedì”.

A fine stagione i minuti giocati sono zero spaccati, ma il Botafogo decide di liberarsi di quel ragazzo troppo fragile per il calcio professionistico. Per fortuna però che ci sono gli amici.

Grazie infatti ad un altro caro amico, Renato Gaucho, riesce a farsi ingaggiare dal Flamengo. Lo schema è lo stesso, solo che riesce a farsi amico qualche compagno di squadra che accetta di colpirlo malamente durante dei semplici contrasti in allenamento.“Vado a fare la doccia mister, ci vediamo lunedì”. La storia va avanti in Messico, negli Stati Uniti, in Argentina e poi di nuovo in Brasile. Quel ragazzo che non sa fare tre palleggi lo vuole metà continente, e a detta sua anche qualche club di oltreoceano. Carlos infatti si presenta sempre agli allenamenti con un telefono cellulare finto con il quale finge di conversare e trattare con manager e direttori sportivi inglesi e tedeschi. Ci credono tutti tranne che lui.

A qualcuno viene un dubbio, come all’allenatore del Bangù, nel quale ha militato nel 1989, che un giorno decise finalmente di convocarlo per l’esordio e metterlo alla prova. O comunque fargli fare quello per cui veniva pagato. Durante il riscaldamento prima della partita si avvicina a un tifoso e fa partire un destro che lo scaraventa al suolo e che costringe l’arbitro ad espellerlo ancora prima del calcio d’inizio. “Dio mi ha prima dato e poi tolto il mio vero padre, adesso che ho trovato un secondo padre come lei non permetto che qualcuno si permetta di offenderlo”.

Carlos era così, come quando venne ingaggiato dall’Ajaccio e per il suo primo allenamento a porte aperte iniziò a scaraventare tutti i palloni verso i tifosi pur di non allenarsi. Nessun pallone tornò indietro e l’allenamento fu annullato. Si ritirerà a 39 anni con 34 presenze in una carriera più che decennale.

Carlos e i ragazzi delle teste di Modì hanno regalato al mondo dell’arte, dal momento che anche il calcio è un’arte, dei meravigliosi e necessari momenti di leggerezza. Quella stessa leggerezza che strappa un sorriso e manda in frantumi la credibilità di una società basata sull’apparenza e sul consumo. Quella stessa leggerezza che rende l’arte, appunto, magia liberata dalla menzogna di essere verità.

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