Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

Tomas Danilevicius, il livornese di Lituania.

Questa storia inizia dove nessuna storia è mai iniziata. Le Storie con la S maiuscola, parlando di calcio, iniziano in Argentina, Brasile, se Dio vuole qualche volta in Italia, in Spagna e così via. Le Storie con la S maiuscola difficilmente iniziano Klaipèda, in Lituania. Bene, la nostra storia inizia a Klaipèda, in Lituania. Tutto questo perché la nostra non è una Storia con la S maiuscola, la nostra è una storia tutta minuscola e magari con qualche erroretto, tipo una “storria“. Perché questa non è la Storia di qualche campione, questa è la “storria” di un essere umano, e nella vita di tutti i giorni qualche erroretto ci sta.
Questa è la “storria” di Tomas Danilevicius. O meglio, di Tomas Danilevicius e il suo Livorno.
Danilevicius ne ha cambiate parecchie di squadre. La sua carriera da giovane predestinato inizia nella Futbolo Klubas Atlantas, ma subito dopo nell’arco di pochi anni si gira tutta l’Europa. Tomas è un po’ troppo fortino per i suoi amici lituani e quindi si trasferisce in Belgio e veste la maglia del Club Bruges, poi è il tempo della Dinamo Mosca e del Losanna, per poi arrivare dove nessuno se lo sarebbe mai aspettato: per il nostro ragazzone con i capelli sulle spalle e la voglia di trovare “casa” c’è l’Arsenal di Wenger. Con i Gunners Danilevicius colleziona solo due presenze in campionato, una in FA Cup e un goal contro il Barcellona che ha segnato la mia infanzia al pari delle torri gemelle che interrompono la Melevisione (infanzia difficile? Sì, tifo Livorno). Ora fermiamoci a riflettere: avevamo detto all’inizio che questa “storria” non era adatta per chi cercava campioni e a rigor di logica nell’Arsenal ci giocano (quasi) esclusivamente campioni. Preso coscienza di questo, Tomas manda a fare in culo i Gunners e se ne va in Scozia. Scozia e poi ancora Belgio, e poi arriviamo al punto focale della faccenda.
Mentre il nostro lituano si girava mezza Europa in Italia il Livorno si era riguadagnato la Serie B dopo tanti tanti anni di campetti di provincia.
Livorno dopotutto è sul mare come la sua Klaipèda e soprattutto a Livorno non si guardano tanto i piedi di un calciatore, si guarda quello che ha nel cuore. Osvaldo Jaconi di Livorno disse “questa è una piazza particolare, la gente non vuole campioni, ma uomini veri, disposti a sposare una causa“. Mai fu detto qualcosa di più vero. Livorno e i livornesi avevano bisogno di qualcuno che sposasse una causa, e Danilevicius non aspettava altro che trovare una strafottuta causa da sposare: siamo nel 2002, e that’s amore.
Il nostro Tomas trova subito abbastanza spazio tra gli amaranto collezionando 21 presenze e segnando contro il Venezia alla prima stagione, poi troviamo un climax ascendente: l’anno successivo Danilevicius è tra i protagonisti dell’impresa dei guerrieri amaranto che riportano tutta una città (a Livorno si parla di città, non di squadra) in Serie A, debutta in quella Serie A che si era guadagnato e segna pure in Coppa Uefa, e da lì nasce un amore destinato a non finire mai.
988417_10204363917211960_1356884256576925972_nCitando le riflessioni di Simone Lenzi nel “Sul Lungomai di Livorno“, quando ci si deve in qualche modo relazionare con i livornesi “c’è una notizia buona e una cattiva: quella cattiva è che i livornesi vogliono avere a che fare soltanto con i livornesi. La buona invece è che diventare livornesi è facilissimo. Perché è bene che si sappia subito che a noi, di voi, di chi siete e del luogo da cui provenite (e può essere pure la Lituania, nda), francamente non ce ne importa nulla. Se però, dichiarando la vostra apostasia, professerete adesione alla livornesità, non solo sarete i benvenuti, ma faremo di tutto per farvi sentire a casa, visto che, per la vostra intelligenza, avete saputo vedere quel che gli altri non vedono“.
In queste frasi, inconsciamente, Simone Lenzi descrive alla perfezione quello che è scattato tra Livorno e Tomas Danilevicius. Danilevicius non è mai stato il lituano, quello che ha giocato nell’Arsenal o altre cose simili. Danilevicius si è sempre professato livornese e Livorno ha fatto di Danilevicius suo figlio.
Uno dei modi di dimostrare affetto di noi livornesi è la fissazione di dare soprannomi o nomignoli a qualsiasi cosa ci piaccia. Bene, penso che Danilevicius non sia mai stato chiamato “Danilevicius” per bocca di un livornese. Tomas Danilevicius era dal semplice “Tomas“, chiamato per nome come se fosse un amico, al più articolato “Danilo“, “Cicius“, “Danilovic” (folle collegamento con l’Est Europa ha portato ad una sfumatura iugoslava, assurdità che solo il previdentissimo Spinelli poteva partorire) per arrivare in fine al cavallo di battaglia “dragone lituano“. Brividi e applausi.
Altri aneddoti fenomenali sul Dragone lituano e la sua gente? Due su tutti: a Livorno c’era aria di campagna elettorale ed un centro sinistra già pronto con lo spumante in mano dovette fare i conti con un nuovo inaspettato avversario: Tomas. I muri di Livorno e i cartelloni per la campagna elettorale furono “addobbati” con scritte che chiedevano per Livorno una svolta. Il messaggio era chiaro ed a lettere maiuscole: “VOTA DANILEVICIUS“. Ovviamente era una trovata goliardica di qualche tifoso amaranto, ma sono sicuro che qualche voto il nostro “Cicius” l’avrebbe preso.
Per il prossimo aneddoto dovete sapere che a Livorno il patriottismo, l’inno di Mameli e i tricolori ricordano vagamente qualcosa di fascistoide e nel dubbio i livornesi alzano le barricate. Allo stadio di Livorno arrivò l’Italia di Donadoni contro i croati e dalla Curva Nord, oltre a zero tricolori, si alzò incessante una cantilena che durò buona parte dell’incontro: “in culo all’Italià, e a chi la va a rifà, alè alè alè Tomàs“. Per una sera Livorno fu provincia di Klaipèda.
Tomas DanileviciusDanilevicius poi ha cambiato altre maglie (pur tornando bene o male sempre a casa, ovvero nella sua Livorno), ma l’amore non finì mai: quando giocava nel Latina i laziali vinsero la finale playoff per andare in Serie B contro nientepopodimenoche il Pisa (per le 3 persone sul globo terracqueo che non lo sanno, tra livornesi e pisani scorre buon sangue tipo tra palestinesi e israeliani). Di quel pomeriggio c’è una meravigliosa foto dove Danilevicius alza uno di quei classici annunci funerari che si fanno goliardicamente alle squadre perdenti, ovviamente prendendosi gioco dei pisani. Nessun altro giocatore lo fece, perché nessun altro giocatore aveva il cuore amaranto: quello era un messaggio per tutti i livornesi. Quello era un messaggio che diceva che lui giocava per altre squadre ma pensava al Livorno e ai livornesi. Alla sua casa e alla sua gente. “Mi mancate ragazzi. Questo Latina-Pisa l’avete un po’ vinto anche voi. Un bacio, Tomas”.
Un bacio a te, dragone.

Articolo originariamente pubblicato per delinquentidelpallone.it

Next Post

Previous Post

Leave a Reply

© 2024 Minuto Settantotto

Theme by Anders Norén