Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

Storia a puntate di un delirio organizzato – 1.

A regà ma ‘n do’ annate, che fate
tornate qua, nun me va de pià legnate!
Capirai, ciò l’occhi ‘mpastati, nun ho dormito gnente,
ho fatto tanto tardi pe’ fà divertì la gente.

Maggio.

Tutto è iniziato con la fine dei campionati, quando si tirano le somme e spesso quelle degli anni passati tornano a sommarsi a quelle di oggi, a fare la cifra dell’esistente.
Tutto è iniziato con un video sui ragazzi di Salerno rimasti uccisi nel treno bruciato, di ritorno da Piacenza dopo l’amara retrocessione del ’99; o con un vecchio servizio su quel tragico derby di Paparelli; o con la scoperta della tragedia sfiorata di Ivonne, sedicenne romanista finita all’ospedale il giorno che a San Siro una panchina gettata dall’alto provò a sfondarle il cranio; oppure, avendo poi cercato altro materiale su Milan-Roma, a partorire tutto deve essere stata la virata necessaria su Antonino De Falchi, aggredito, rialzatosi e poi morto che sembrava vivo.
A proposito di Roma. Da piccolo rimasi impressionato dopo aver visto Ultrà di Ricky Tognazzi, dove Claudio Amendola vestiva i panni del capo ultras violento e prepotente, finendo col trasformarsi nel banale antieroe che accoltella e uccide per sbaglio il suo amico “Smilzo”. Ero incazzato: non erano quelli i tifosi che conoscevo io! Più tardi capii che gli “ultras” di quel film non li conosceva praticamente nessuno, e che le cose erano, come sempre, un po’ più complesse. E meno romanzate.

Mo me sdraio qua dietro e schiaccio ‘n pisolino
Come quanno me portava ‘n machina mi padre da rigazzino.
Dietro fa ‘n po’ freddo, è proprio un grande strazzio
Che me frega, stasera me ripio, vado a vedè la Lazzio!

Lego a quel film un altro titolo uscito poco tempo dopo, Teste rasate di Claudio Fragasso, con Giulio Base nero capo neofascista della periferia di Roma che converte al suo folle credo di violenza il giovane Gianmarco Tognazzi, in un cocktail di pestaggi insensati e razzismo ridotto a fenomeno di folklore post-adolescenziale.
Scopro oggi, in un giorno particolarmente pesante da portare a termine, che il ricordo di quel dolore, e di tutto l’abuso di retorica prodotto su quella inumanità travestita da morte, mi infastidiscono al punto da non poter compiere le azioni più elementari. Tipo fottermene e pensare ad altro.
Sento addosso non il sangue, ma il prurito lasciato da ogni ferita rimarginata a coprire il caldo tepore di ruggine delle lame con cui per anni si sono regolati, anzi si sono tenuti certi conti, dentro e fuori gli stadi. Come in un flipper la testa rimbalza al 1995: anno di Genoa-Milan e di Fabio Capello che invita capitan Torrente a non rivelare alla curva del Ferraris la morte di un loro fratello rossoblu; anno di Vincenzo Spagnolo e del suo assassino, un diciottenne prima juventino, quindi milanista, calciatore mancato. Sicuramente un piccolo fascista.
Pensare a “Spagna” fa male ancora oggi, ma non basta, non è solo quello. La rabbia esegue un altro giro accelerato nelle vene e riporta alla mente i brividi di Paolo Scaroni, massacrato dalla polizia mandata alla stazione di Verona apposta per massacrare lui o qualcuno come lui, invalido e sopravvissuto per miracolo a poche ore e pochi chilometri di distanza da un altro e più noto pestaggio, purtroppo fatale: quello di Federico Aldrovandi.

Ma quanto è passato, due, tre ora ar massimo 
ma l’amichi mia ‘ndo stanno, li possino 
Ciò freddo, paura, ma che è …. so’ tutto ‘nsanguinato 
Mammina mia, ‘ndo stai, ma ch’hanno combinato.

La solidarietà “acab” alla tifoseria del Brescia per la storia di Paolo riavvicinò per brevi istanti l’intero mondo ultras italiano; compresi gli odiati rivali di Bergamo guidati dal “Bocia”, storico leader della curva atalantina recentemente condannato a 3 anni di carcere per degli scontri con i sostenitori del Catania risalenti al settembre 2009, al cui riguardo lo stesso imputato ha spiegato: “Ci siamo picchiati con gli ultrà siciliani, in modo leale, a pugni e con qualche cinghiata, ma non con i coltelli“.
Quel “Bocia” che si è però detto estraneo a quanto accadde nel 2010 alla Berghèm Fest, la festa della Lega Nord di Alzano Lombardo, alla presenza dell’allora ministro degli Interni Roberto Maroni e di alcuni ultras interessati a contrastarlo sulla tessera del tifoso, allorché una fazione si staccò dal gruppo di contestatori iniziando a lanciare sassi, petardi, bottiglie, e incendiando anche delle auto. Lì era presente anche Daniele Belotti, ex assessore regionale oggi segretario provinciale della Lega (uno che predica “ruspe” per rom, come Salvini), nonché gran tifoso dell’Atalanta e uomo di curva, fino a quel giorno: “Dopo 35 anni, centinaia di partite e soprattutto dopo averne viste di tutti i colori, me ne vado. Bombe carta, pietre e sassi lanciati a una festa piena di famiglie e di bambini: un livello a cui non ero mai arrivato prima“.

‘No sparo, le botte, li pianti ‘a polizia?
E mo’ basta vojo a mi regazza ‘a famia, l’amichi mia!
Nun ciò più le forze, smetto da lottà
Me ne vado da ‘sto monno, colmo de stupidità.

Vorrei chiudere il capitolo Bergamo, ma il suo stadio e quella curva mi ricorderanno per sempre uno dei giorni più brutti della storia recente di questo Paese, e non solo del suo calcio: Gabriele Sandri. Il giovane tifoso laziale freddato da un colpo sparato dall’agente Spaccarotella a Badia Al Pino, e quella domenica di calcio che nessuno ebbe il coraggio (e la dignità) di interrompere. Facendo deflagrare il bacino stracolmo di rabbia verso la polizia; forzando la coscienza inferocita di chi a certe regole non voleva starci, e contestava che lo show dovesse andare avanti.
Di quel giorno ho frammenti di immagini che vedono Cristiano Doni parlare con Paolo Maldini, e poi lo posizionano davanti ai vetri crepati dal fermento di un settore imbestialito.

Tranquilli Ma’, Pa’, fratello caro 
vado a stà mejo, Lì nun esiste er baro. 
Passerò la notte insonne pe’ parla’ co’ Dio 
merito ‘n posto bello, je lo chiedo a modo mio.

Si doveva giocare (poi non si giocò) Atalanta-Milan. Proprio come l’ultima di campionato appena giocata. Si doveva giocare. Come si doveva giocare all’Heysel, 30 anni fa ieri, data diventata ormai anniversario della disperata conta dei trentanove morti, quasi tutti italiani, quasi tutti juventini, schiacciati dal disastro combinato di violenza hooligans, inadeguatezza della struttura e incapacità della polizia belga di capire per tempo il dramma che si stava consumando. Dramma concluso dalla più inutile delle finali giocate: Juventus-Liverpool 1-0, gol di Platini su rigore.

Inesistente.

Come le vittorie senza chi può le festeggiare.

Articolo a cura di @NicKiappa.

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2 Comments

  1. Falangista Italiano Giugno 5, 2015

    La faziosità di questo blog supera per distacco l’intelligenza dei capi comunisti dell’ex URSS. Si parla di popolo, ci si riempie la bocca con paroloni sul fascismo (già, ma quale? Quello di Pinochet o di qualche militare sparso in giro per il mondo) senza trovare un minimo di obiettività nella narrazione delle storie.

    Da falangista mi preme onorare la memoria di José Antonio Primo de Rivera, martire caduto per difendere la Spagna nella crociata contro il bolscevismo internazionale. A lui e a tutti quelli che non si arresero va il mio pensiero.

    • Alessandro Colombini Giugno 5, 2015

      Ci dispiace molto non poterti rispondere seriamente, soprattutto alle critica di faziosità. Purtroppo abbiamo scelto di non cadere in provocazioni di alcun tipo. Risparmiati altri commenti del genere dato che non verranno più pubblicati. Un saluto.

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