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Paolo Di Canio: un fascista.

Paolo Di Canio, qualche giorno fa, è tornato a far parlare di sé con un’intervista sul Corriere della Sera. Dopo aver appeso (LOL) da qualche anno le scarpette al chiodo, la ragione non riguarda il rettangolo di gioco, ma le sue idee politiche, se così si possono chiamare. Non è la prima volta. Non è nemmeno una scoperta dell’ultima ora. Di Canio è un fascista.

Lo ha sempre rivendicato nel corso della sua carriera con frequentazioni, dichiarazioni, saluti romani e tatuandoselo sulla pelle. Nell’intervista in questione si pente di essersi tatuato (sulla schiena e sul braccio ‘destro’) richiami al fascismo e a quella gran brava persona di Mussolini, bollandoli come errori di gioventù. Peccato che nel 2000, data a cui risale il tatuaggio incriminato, aveva 32 anni, abbastanza maturo per avere una famiglia, ma non per capire il significato della sue azioni.

È proprio il tatuaggio il fulcro della vicenda.

article-2305295-01fc42030000044d-867_634x461Facciamo un passo indietro, torniamo al settembre scorso. Sky affida a Di Canio un programma di approfondimento sul calcio inglese. Di Canio oltre ad essere stato un discreto giocatore è un profondo conoscitore del calcio d’Oltremanica, dove ha passato i migliori anni della sua carriera. Al proposito, verrebbe da utilizzare un vecchio adagio: ‘anche un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno’. Durante un video promozionale Di Canio si presenta con una polo facendo sfoggio del DVX tatuato sul braccio destro. Sui social scoppia la polemica e Sky, abbastanza ipocritamente, allontana Di Canio.

Il Corriere della Sera gli offre un’occasione di redenzione. Di Canio nonostante i buoni propositi non riesce a redimersi.  Anzi, a nostro avviso, dimostra ancora una volta di essere fascista: nelle dichiarazioni e nel modus operandi.

Nell’intervista dichiara di pentirsi del saluto romano rivolto alla curva Nord in occasione del derby del 6 gennaio 2005, ma non di quelli successivi indirizzati alle tifoserie di Siena, Torino e soprattutto Livorno. La smentita ci sembra ipocrita, più coerente è il mancato pentimento per quelli successivi. D’altronde, qualche anno fa dichiarava: “un coglione come Lucarelli può fare il pugno chiuso, in una città dove vanno allo stadio con bandiere comuniste, non della squadra, e io non posso fare un fottutissimo saluto?“ Questa frase sintetizza l’essere fascista, il mettere sullo stesso piano i fascisti e chi si è opposto al fascismo. Purtroppo, in tempi di strisciante revisionismo, anche questa argomentazione attecchisce nella nostra società. Le migliori parole per riaffermare la diversità ci vengono offerte dal Commissario Kim quando spiega al giovane Pin la differenza tra chi combatte nelle formazioni partigiane e chi nella brigata nera: “Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là si ribadisce la catena”.

Su Mussolini più che un pentimento sembra una confessione: “per me Mussolini rappresentava un’idea di società con regole, vere, che tutti rispettano. L’amore e l’orgoglio patrio. Cose che vorrei perdi-canio il mio Paese e non vedo neppure oggi.” Il classico schema neofascista: si denuncia l’alleanza con Hitler e si salva tutto il resto, poiché rientra nella sua (loro) idea di società: squadrismo, leggi fascistissime, confino, Tribunale per la difesa dello Stato, guerra in Etiopia, neocolonialismo, appoggio a Franco.

Sul razzismo la discolpa è quasi comica, o perlomeno imbarazzante: parafrasandolo, ‘non sono razzista ho anche amici di colore e il mio agente inglese è di origine ebraica’. È il massimo che poteva fare, né più né meno. Non potevamo aspettarci una seria e sentita argomentazione antirazzista sull’abnorme sciocchezza di discriminare le persone sulla base della razza e/o della religione.

Come dicevamo non è la prima volta che Di Canio è sotto accusa per le sue è posizioni apertamente fasciste. In Italia è avvenuto quando era un giocatore, Oltremanica invece da allenatore, oggi sottoforma di presentatore. In Inghilterra la sua carriera da allenatore, prima allo Swindon Town poi al Sunderland, è stata contrassegnata dagli imbarazzi e dalle polemiche, come le dimissioni del laburista Miliband dal board della squadra di Premier, per alcune dichiarazioni non confermate e soprattutto per il suo passato e per le sue frequentazioni. Un aspetto che ha influito ed influirà più della preparazione tecnica sul suo futuro da allenatore. Allo stesso tempo, dopo questo scandalo anche la sua carriera in tv è seriamente compromessa.

Il modo migliore per rifarsi una purezza politica, non perché sia necessaria ai suoi occhi ma per quelli dell’opinione pubblica, è prendere le distanze dal suo passato, rilegandolo ad un errore giovanile, e mostrare una nuova maturità. Uno schema anche questo già visto nel passato, più o meno settant’anni fa. Per fortuna è lo stesso Di Canio ad essersi marchiato con simboli infami che testimoniano la sua adesione ad una politica altrettanto infame. Il tenente Aldo Raine, detto L’Apache, sarebbe sollevato: finita la carriera da calciatore e tolta la divisa, tutti lo riconosceranno e nessuno si dimenticherà quello che è stato: un fascista.

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A cura di Yuri Capoccia.

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