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Hasta Siempre Zampagna: elogio di un attaccante ostinato

Riccardo Zampagna è stato un calciatore solo perché bisogna trovare una categoria a un giocatore del genere, ma se vi piacciono le etichette allora potete tranquillamente definirlo come ribelle. Sì perché Zampagna è stato tutto e il contrario di tutto: ha iniziato come tappezziere e poi la giusta videocassetta è finita nelle giuste mani del giusto direttore sportivo, poi ha fatto scelte apparentemente poco consone per un calciatore, ha messo prima i suoi valori di quelli del dio denaro, ha detto basta quando gli sembrava di non poter più dare il suo giusto contributo, ha giocato in Serie A mostrando un fisico anticonformista e si è divertito a segnare gol assurdi su tutti i campi d’Italia.

Zampagna è stato un anti-calciatore, dicono in molti, in realtà è stato un idolo, un idolo di tutti. E anche per noi, a cui il calcio piace genuino e sano, lontano dai sensazionalismi delle pay-tv, un uomo come Zampagna ha significato molto più di un semplice numero nove.Zampagna atalanta

Zampagna è anacronismo: un giocatore del genere poteva esistere quando il calcio passava dal bianco e nero ai colori, non negli anni Duemila. Nato a Terni in mezzo alle acciaierie, Zampagna è figlio di lavoratori e cresce nella “working class” ternana, assumendone i tratti peculiari e le caratteristiche. Comincia a giocare in squadre del sud dell’Umbria quando lo chiama il Pontevecchio e lui deve smezzare i turni in tappezzeria con il viaggio in macchina fino alla periferia di Perugia, all’epoca lontana quasi quanto l’America. Poi arriva il grande salto alla Triestina e da lì il pellegrinaggio in tutta Italia con i picchi di Cosenza e Siena in Serie B e il ritorno a Terni, alla sua Ternana, nel 2003.

Niente è più romantico di sentir parlare Zampagna della sua breve esperienza rossoverde, in cui segnava a raffica gol non banali e andava ad esultare sotto gli occhi del cugino in Curva. Sarebbe rimasto alle Fere anche in interregionale, ma il Messina lo chiama per la Serie A e lui, straordinariamente a malincuore accetta. Inizia così a farsi conoscere anche nella massima serie prima di tornare grande con l’Atalanta e chiudere tra Vicenza, Sassuolo e Carrarese. Ma Zampagna è di più di una semplice carriera, più dell’elencazione dei suoi gol balisticamente assurdi: è un simbolo.

Sempre in direzione ostinata e contraria, Zampagna preferisce la Curva e il calore dei tifosi ai rotocalchi o alle trasmissioni televisive. Gli fanno domande standard e lui risponde alla sua maniera, schietto e con una lucidità di pensiero che mal si addice a quel corpaccione da operaio del gol. Gli chiedono un’opinione politica e lui risponde spiazzando un po’ tutti: il suo idolo è Ernesto Che Guevara, e mostra le effigie del medico argentino tatuate sulla gamba. Odia la disciplina, sembra uscito da La Classe Operaia Va in Paradiso di Elio Petri, non è per niente pop come i suoi colleghi, è non convenzionale ma non lo è in maniera forzata come fanno quelli che dicono di schifare le riviste patinate e poi pagano per finirci sopra.

«Non sputo nel piatto in cui mangio – afferma però il buon Riccardo – il calcio professionistico mi ha dato molto economicamente ma non mi ha cambiato, continuo a essere un atipico». Atipica è anche la scelta di 5911211967_bf98a85f55_zallenare l’Associazione Primidellastrada quando chiude come calciatore, una squadra che già leggendo il nome per intero specifica le sue intenzioni: associazione dilettantistica sportiva comunista.

Tre però sono le immagini indelebili della vita calcistica di Zampagna. Una è la fine, l’addio al calcio nel suo Libero Liberati in un Ternana – Atalanta amichevole con gli spalti stracolmi di gente ad abbracciare e salutare idealmente il simbolo di una città in perenne lotta. Un altro è in un autogrill quando ormai gioca nel Sassuolo: i tifosi dell’Atalanta bloccano il pullman neroverde solo per celebrare colui che avevano amato, ricambiati.

Il terzo è il più importante ed è emblema di cosa è stato Zampagna. Paolo Di Canio assurge ahinoi agli onori delle cronache per il saluto romano nel derby e poi si ingarbuglia in voli pindarici per spiegare quel gesto, il mondo politico è in fermento ma non come quello calcistico e come i tifosi del Livorno, la cui fede non è nemmeno da spiegare da quanto è nota. Il caso vuole che si giochi proprio Livorno contro Messina e nel Messina giochi uno come Zampagna, al quale è sempre importato di dire la propria a prescindere dalle considerazioni altrui. E così succede che, in un momento in cui politica e calcio devono rimanere separati come suggeriscono i soloni dall’alto delle loro cariche, Zampagna si diriga verso la curva amaranto, si giri verso i tifosi del Livorno e porti in alto il pugno. Con tutta la naturalezza del caso.

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