Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

“Ed è subito goal! Ed è punto decisivo!”

– Capo, dai, dimmi chi ha segnato…
– E che ne so io, Antò!?
– Ma è sicuro che qualcuno ha segnato! C’abbiamo la media di due.punto.cinque gol a partita e segniamo sempre nella prima mezzora: sono le 17e28, li abbiamo già bucati sicuro. Basta un punto…

Nel carcere di Bolangri ci sono i mafiosi, c’è il 41-bis e c’è Antonio Mazzitelli. Nel 2004 ha ucciso un uomo in un regolamento di conti, una faida interna all’universo criminale del suo pezzo di mondo. La vittima era però una persona perbene, un commercialista, un notabile del luogo, che aveva pensato giusto di fare affari (mai accertati) con tutte e due le parti, ma le parti non l’avevano pensata alle stesso modo. Omicidio volontario più appartenenza all’organizzazione, più delitto eccellente. Somma di uno più uno più uno fa, appunto, 41-bis. Il “carcere duro”.

Antonio confessa, si prende i suoi anni e se li porta in cella. Insieme alla sua grande, maniacale, passione: il calcio. La squadra locale, l’Unione Sportiva Bolangri, ha un passato vincente nei dilettanti, dignitoso in Serie C e sporadico tra i cadetti. Il suo andamento segue quasi le travagliate vicende di Antonio, ripercorrendone anche gli errori. E quando per lui si schiudono le porte del regime speciale, per l’US si aprono quelle del tribunale. Fallimento. Ma nello sport, come nella vita, c’è sempre un punto da cui poter ricominciare. Antonio, al 41-bis, ha solo un’ora al giorno nella stanzetta della socialità e inizia ad usarla interamente per informarsi sulle sorti della squadra; raccoglie statistiche, fa i conti, elabora tabelle, segna tutto su un quadernetto. Si comporta da detenuto modello, la caduta e la pena hanno ormai spento la vecchia vita di infamie sotto padrone, ma dentro al carcere conta poco. Spesso rinuncia all’ora d’aria, perché col 41-bis non gli è concesso di tenere nulla in cella, e allora deve scegliere: ritagliare trafiletti di giornale e creare proiezioni di partite non ancora giocate, oppure uscire a sgranchirsi le gambe. Meglio l’US.

Quel punto decisivo per rinascere, l’US lo guadagna un pomeriggio a Marina di Fola. Campo di terra battuta, fine aprile, è caldo come se la destinazione naturale di quella domenica fosse il mare, il vento porta in giro l’afa e il polverone del campo. La Folese è seconda, fermarla in casa sul pari significherebbe per l’US ricacciarla definitivamente alla fine dei sogni di gloria, vincere il campionato e tornare nel calcio che conta. Anche Antonio conta, la settimana corre frenetica, quella sola ora passa via più veloce del solito. Nei giorni che precedono la gara si comporta meglio di quanto non avesse mai fatto lì dentro, l’obiettivo è solo uno: domenica e una radiolina, sintonizzata sull’emittente locale e su poveri inviati sperduti a non essere ripagati di altro che non sia la loro folle passione di raccontare cose di calcio. È sabato e la richiesta è pronta, per via degli agenti, per essere inviata in via ufficiosa al direttore dell’istituto penitenziario: una radiolina, da tenere in cella per un’ora e tre quarti. La risposta arriva veloce, per conto della faccia triste e arresa dello stesso secondino: no, niente da fare.

Quel giorno Antonio soffre come se alla partita stesse assistendo davvero. Poggiato spalle al muro, le gambe tese per metà fuori dalla branda, vede le maglie biancoverdi entrare in campo e si eccita al fischio d’inizio, come qualunque tifoso, mentre la palla schizza per dare il via a quei magici 90 minuti. Si accorge della debolezza del terzino dell’US rispetto alla più fisica ala sinistra della Folese, bisogna correre ai ripari; elogia il suo numero 9 Ruzzone, che fa a botte col centrale avversario per aprirsi il campo, e magari andare a segnare come ha già fatto diciotto volte in campionato; muove il collo come a staccare di testa e simulare i rinvii del centromediano Scorcio, che di mestiere fa lo spazzapalloni dai pressi dell’area di rigore.

Antonio si agita, ansima, fa anche un po’ di casino, tanto che da un paio di celle ai lati protestano, ché vogliono dormire.
– Antò, e non rompere!
– Capo, non puoi capire, devo sapè quanto stiamo! (Sottovoce) Ascoltatela tu e dimmelo…
– Antò…

Si accuccia allora, Antonio, si addormenta, senza accorgersene, mentre la partita avanti, nella sua testa e sul campo. Ad un certo punto si sveglia, esultante, sorriso in faccia: ha sognato il pareggio decisivo del 7 Scorbuglia che l’ha messa tra palo e portiere. E resta euforico, per il resto della giornata. L’US ce l’ha fatta, bastava un pareggio e punto è stato, vorrebbe svegliare tutti e festeggiarli e abbracciare, perché la vita ricomincia e perché l’US ce l’ha fatta.
Anche se non ce l’ha fatta, ma lui, Antonio, non lo sa.


Un racconto di Nicola Chiappinelli (@NicKiappa).

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