Minuto Settantotto

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Argentina 1978: «Non vinciamo per quei figli di puttana. Vinciamo per il nostro popolo»

Stadio “Monumental”. 25 giugno 1978. Finale mondiale, ultimi secondi del primo tempo supplementare. Punizione nella metà campo albiceleste, si avvicina Passarella e con il sinistro lancia in avanti, il pallone viene messo a terra da Bertoni, si smarca e libera l’accorrente Kempes che in slancio supera due giocatori olandesi e a tu per tu con il portiere lo anticipa con un tocco morbido. Jongbloed riesce a toccarla, la sfera si impenna, rimbalza. Kempes si fionda sul pallone, riuscendo ad arrivare prima dei difensori e a porta vuota la mette dentro. 2 a 1 Argentina.

Sembrerebbe la classica finale mondiale risolta dal guizzo del fuoriclasse. Mario Alberto Kempes altro non è. Diez sulle spalle, chioma folta e scomposta, leve lunghissime che si muovono a passo di tango. Prima di Maradona, un altro mancino fece innamorare il popolo argentino.

I Mondiali del 1978 si giocano in Argentina. Non può essere un mondiale come gli altri. Non lo sarà.

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A poche centinaia di metri dal “Monumental” si trova la Escuela de Mecánica de la Armada. In quegli anni entrano nella scuola di formazione militare due categorie di persone: allievi della marina argentina e dissidenti politici. I primi usciranno come ufficiali, i secondi come desaparecidos. Per capire bisogna fare un passo indietro.

24 marzo 1976, la Presidentessa Isabel Martínez Perón, in carica dopo la morte del marito Juan Domingo Perón, viene destituita da un colpo di stato militare guidato dal generale e Ministro dell’Interno Jorge Rafael Videla.

Sembrerebbe uno dei tanti golpe militari a cui l’Argentina ci ha abituati sin dagli anni Trenta. Così non è. Si insedia una dittatura militare di matrice fascista, anticomunista e nazionalista. La Junta ha la pretesa di produrre dei cambiamenti irreversibili nell’economia, nella società e nella politica argentina, motivo per il quale si autodefinisce Proceso de Reorganización Nacional.

Siamo negli anni Settanta, nel Cono Sud. Gli Stati Uniti stanno applicando con forza la Dottrina Monroe attraverso l’Operazione Condor. L’11 settembre 1973 il presidente socialista Salvador Allende viene destituito da un golpe militare guidato dal generale Augusto Pinochet con l’appoggio della CIA. Nella storia del calcio ci sono due Ronaldo, allo stesso modo, nella storia politica ci sono due 11 settembre: il primo ha rivoluzionato la concezione del gioco, il secondo, seppur di grande importanza, ha conquistato i media offuscando la portata rivoluzionaria del primo. In Cile si instaura una dittatura sanguinaria, trasformando il paese nell’esperimento per l’applicazione del capitalismo puro teorizzato dall’economista neoliberista Milton Friedman. I risultati sul piano sociale e politico saranno devastanti. Il golpe di Pinochet sarà il più importante di una lunga serie di rovesciamenti militari avvenuti sotto l’egida statunitense in questi anni: Brasile, Uruguay e appunto Argentina.

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La riorganizzazione della società argentina, come negli altri paesi del Cono Sud, avviene in maniera violenta: è l’inizio della Guerra Sucia. La repressione coinvolge tutti le componenti della società argentina contrarie all’ennesima dittatura: dall’Ejército Revolucionario del Pueblo di ispirazione marxista al più isolato dissidente politico. Il regime di Videla, oltre alla violazione dei diritti civili e politici, si contraddistingue per l’uso sistematico della tortura: stupri, pestaggi, scariche elettriche ai genitali, ustioni, privazione del sonno, waterboarding sono le principali pratiche a cui furono soggetti gli oppositori. Una volta torturati, venivano imbarcati nei vuelos de la muerte: prima anestetizzati e, ancora vivi, gettati in mare aperto dagli aerei.

Il discorso storico e politico, spesso, quando si parla di calcio non può essere tralasciato, poiché senza di esso non si potrebbe capire la portata di una partita, di un gol, di un’esultanza.

Per la Junta ospitare una manifestazione di risonanza quali i campionati mondiali di calcio rappresentava l’occasione ideale per mostrare come la Reorganización avesse portato prosperità e stabilità. Il compito è affidato all’Albiceleste. Un compito che si rivelerà ingrato per la nazionale che portò al primo trionfo iridato il suo Paese.

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A quasi quarant’anni di distanza, il primo titolo argentino è ricordato unicamente per aver permesso al dittatore Videla di alzare, con le mani insanguinate, la Coppa del Mondo. Tuttavia,  la narrazione dei mondiali argentini in questa esclusiva accezione non rispecchia la realtà. Argentina 1978 è vittima di un’agiografia al contrario: il fatto storico è stato svilito costruendo una leggenda intorno alla parte marcia della competizione. Una narrazione talmente persuasiva da portare gli stessi argentini a vergognarsi della vittoria; peccato espiato soltanto con i mondiali messicani del 1986, grazie al genio di Diego Armando Maradona che vinse da solo quell’edizione.

Torniamo al calcio giocato. La nazionale argentina è guidata da Cesar Luis Menotti, o semplicemente El Flaco. Un santone del calcio sudamericano. Un rivoluzionario del calcio mondiale. Non ci stupisce che Guardiola prima di intraprendere la carriera da allenatore sia andato in pellegrinaggio dal Flaco. Non poteva essere altrimenti. Possesso palla, linee di gioco alte, palla a terra e tecnica sono i suoi comandamenti. Inoltre, per Menotti l’aspetto calcistico non è centrale: «come tutte le manifestazioni dello spirito, il calcio non può alimentarsi di sé stesso», arrivando sino all’interpretazione più radicale del principio: «per saper giocare a calcio, giocare a calcio quasi non serve».

Dopo aver incantato con l’Huracán, la federazione argentina lo chiama a risollevare le sorti delle nazionale all’indomani dei deludenti mondiali del 1974. Con il golpe le carte in tavola cambiano. El Flaco oltre ad essere un rivoluzionario in panchina lo è anche fuori dal rettangolo di gioco: comunista iscritto al partito. Un problema politico per Videla, un problema etico per Menotti. Il 26 marzo 1976 la nazionale argentina è in tournée in Europa, rientrerà solo qualche settimana più tardi. El Flaco nelle ore successive al golpe decide di dimettersi: non vuole essere uno strumento in mano alla dittatura. I compagni di partito però lo convincono a restare. ‘La lotta è più efficace all’interno’, immaginiamo che suonassero così le parole pronunciate per convincerlo a restare.

arg-78Un aspetto mai approfondito. È più romantico raccontare come l’allenatore comunista abbia consegnato la vittoria alla dittatura fascista, o come l’Albiceleste avesse come unico risultato disponibile la vittoria. I dubbi sull’edizione argentina dei mondiali sono legittimi e molteplici. Il potere da sempre cerca di utilizzare in maniera propagandistica lo sport, le olimpiadi del 1936 ce lo ricordano.

Nutriamo anche noi dei dubbi sulla cosiddetta “marmelada peruana”: per i benigni un precursore del biscotto nostrano, per i maligni un partita comprata con tonnellate di grano e con milioni di dollari. Rispetto ad essa però si susseguono le ipotesi più disparate. Dalla visita intimidatoria di Henry Kissinger e Videla nello spogliatoio peruviano prima della partita, alla confessione della combine da parte del figlio, con la passione per la scrittura, di un noto narcotrafficante sudamericano, passando per l’addomesticamento del risultato grazie al consenso del portiere peruviano Ramón Quiroga. Vale la pena spendere alcune parole per questa ultima versione. Quiroga sarebbe stato contattato da Menotti in persona al fine di agevolare la vittoria tennistica dell’Argentina (il risultato fu 6-0). L’unica prova, a dispetto della prestazione dignitosa, sarebbe il fatto che il portiere argentino naturalizzato peruviano provenga dalla stessa città del Flaco. Parliamo di Rosario, la terza città dell’Argentina con un milione di abitanti.

Il racconto denigratorio della vittoria argentina viene arricchito anche dal presunto boicottaggio del mondiale da parte di Johan Cruijff. Una ricostruzione della sua mancata partecipazione rigorosamente falsa e faziosa. Anni dopo il fuoriclasse olandese rivelerà che a seguito di una rapina domestica le sue prospettive di vita cambiarono e temendo per la sua incolumità decise di non rispondere alla convocazione. Testimonianza di come coincidenze e dicerie siano state assunte a verità. Solo due giocatori boicottarono il mondiale: il maoista Paul Breitner e soprattutto il capitano della nazionale argentina Jorge Carrascosa, al quale va la nostra solidarietà.

Rispetto a questa narrazione di comodo, l’aspetto calcistico è stato volutamente trascurato. È incontestabile che il mondiale fu l’occasione della Junta per accreditarsi agli occhi del mondo. Ma definire la vittoria del mondiale come vittoria del regime è solo in parte vero. La selección era tra le favorite, non al livello dell’Olanda del calcio totale priva della sua punta di diamante, poi sconfitta in finale, o del Brasile di Zico e Rivelino, eliminata dall’Albiceleste al secondo girone. Menotti poteva contare su una squadra affamata di riscatto, caratteristica necessaria per vincere. Allo spirito di squadra si aggiungevano ottimi giocatori ed eccellenti individualità come Passarella, il capitano fascista, il regista Ardiles e soprattutto Kempes, il fuoriclasse che giocava in Europa. Non a caso, durante i giorni perse un’unica partita, quella con la nazionale italiana che, secondo lo stesso Menotti, iniziò proprio nel ‘78 la vittoria dei mondiali dell’82.

Il racconto è stato inoltre incentrato anche sulla complicità della squadra con il regime, al fine di screditarne sia il valore sportivo sia quello morale. Fatta eccezione di Passarella e Américo Gallego, menotti_1978-278x300dichiaratamente allineati con il regime, in squadra c’erano calciatori di sinistra come Kempes, oppure il terzino Alberto Tarantini che chiese personalmente a Videla della sorte di alcuni suoi amici desaparecidos; senza considerare che l’allenatore comunista impose alla sua squadra di non salutare la tribuna dei generali prima del fischio di inizio di ogni partita. I giocatori sapevano del clima che si respirava in Argentina, le sparizioni erano all’ordine del giorno, così come le manifestazioni delle madri di Plaza de Mayo. Invece quello che non potevano sapere erano le torture e i vuelos de la muerte. Il regime di Videla, rispetto a quello di Pinochet, si contraddistinse per l’estrema segretezza. Come potevano sapere i calciatori quando neanche la stampa internazionale ne era a conoscenza? Semplicemente non potevano.

Al contrario, potevano giocare per alleviare il dolore degli argentini. Così fece Kempes, prima con le sue scorribande in campo e poi durante i festeggiamenti. Il fuoriclasse dell’Albiceleste non strinse la mano a nessun colonnello, festeggiava tra la sua gente perché, come aveva ripetuto per tutta la manifestazione El Flaco, «non vinciamo per quei figli di puttana. Vinciamo per il nostro popolo».

Articolo a cura di Yuri Capoccia

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