Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

A United Front. Appunti sparsi sul movimento ultras nordamericano e le sue battaglie.

Parte prima – Il contesto

La nuova era del calcio maschile USA comincia nel 1996: in quell’anno, sull’onda lunga del mondiale del ’94, si disputava la prima stagione della Major League Soccer, la principale lega calcistica nordamericana, fondata tre anni prima.
È una nascita strutturata e pilotata, che fa i conti con una cultura sportiva legata all’idea di un mercato fatto di diritti televisivi, merchandising e, in un secondo tempo, dell’engagement con i social; è l’applicazione di quell’idea di entertaiment alla base di ogni sport americano, e dunque anche del calcio (che da quelle parti si chiama soccer).
La lega, al pari delle altre discipline statunitensi del sistema sportivo, si caratterizza per una gestione manageriale business-oriented: individua cioè come suo focus il creare un’immagine del calcio (e di quanto gli gira intorno) fatta di buoni sentimenti e partecipazione, adatta a intercettare quell’audience family-friendly fruitrice del mercato sportivo live e, soprattutto, televisivo.

Il calcio e il suo sistema sono un fenomeno che da sempre caratterizza il proprio tempo, anticipando e/o amplificando nelle loro trasformazioni possibili le dinamiche politiche, sociali ed economiche in essere, ma soprattutto precorrendo il loro divenire. Nella cultura sportiva americana è spesso stato demandato all’atleta il ruolo di protagonista e “glorioso” rappresentante delle istanze del proprio tempo, in particolar modo negli anni del dopoguerra. L’atleta prima come campione sportivo, poi come portavoce e infine come militante. Un ruolo quasi esclusivo che fino ad oggi non è mai venuto meno e che ha creato figure e gesti iconici in grado di travalicare il tempo, divenendo riferimento della storia politica e sociale di intere generazioni e pietre miliari della cultura e della controcultura americane.

Il sistema calcio è esploso come una forza dirompente che, riportata nel sistema americano delle leghe, ha alterato il piano del sentiment e della cultura sportiva di quel paese introducendo il protagonismo e l’autonomia di un soggetto fino a pochi decenni fa avulso da quel contesto: l’ultras. In questo quadro la nascita del movimento ultras nordamericano è congenita allo sviluppo del movimento ed è anzi supportata dalle proprietà e dalla federazione.
Per lo sport americano la dimensione “live” è fondamentale: più un campionato è colorato e supportato, meglio si vende e si fa vedere in televisione. Ai gruppi organizzati viene così garantita massima visibilità e spesso i tifosi vengono interpellati per la progettazione dei nuovi stadi, in particolar modo riguardo al design delle curve. L’idea è quella di legare la squadra alla sua gente fino a garantire visibilità, accesso e, in molti casi, anche partecipazione diretta all’interno delle società stesse. Un’idea vincente ma che travalicherà le esigenze esclusivamente commerciali dei suoi estensori.

Agli inizi degli anni duemila il cambiamento è consolidato e parte dall’alto: il numero dei partecipanti al campionato è aumentato, così come quello dei club dotati di un impianto di proprietà pensato apposta per il calcio. La svolta sul piano normativo è l’introduzione della Designated Player Rule, che consente alle società di avere fino a un massimo di tre calciatori con uno stipendio o un costo di trasferimento superiore al tetto salariale. La pervasività del sistema calcio rompe il grande dogma del sistema sportivo americano, il salary cap: è il crollo di un argine, qualcosa che cambierà per sempre le dinamiche in campo e sugli spalti.
Anche il movimento ultras è cresciuto e maturato; ha sempre come riferimento la tradizione europea e sudamericana, ma implementa nella sua strutturazione molte particolarità del mondo statunitense. Cominciano ad esistere più gruppi all’interno dello stadio e se la politica delle società e della federazione ha dato loro visibilità e spazi di partecipazione, per le quali non tarderà a presentare il conto, ora è il tempo di conquistare autonomia e indipendenza. Lo strumento principe per i vari gruppi è la costituzione di trust, istituti fondamentali del sistema giuridico anglosassone di common law, basati sulla condivisione di intenti e valori non solo all’interno della curva o tra differenti tifoserie, ma anche e soprattutto nel rapporto con l’esterno, che per tutti è la propria comunità cittadina di riferimento.
Uno strumento di coordinamento e una forma di associazionismo, il più delle volte no-profit, che non esclude la presenza di altre forme come collettivi, gruppi o attivisti; una forma associativa democratica inclusiva e trasversale, fatta di parti che mantengono una propria autonomia ma ricercano una condivisione per il bene comune che non è esclusivamente relegato al preparare coreografie e cori o fare festa.

È importante capire il contesto storico, la fine degli anni zero del nuovo secolo: c’è un paese che si dibatte tra crisi economica e un generale fallimento finanziario di molte industrie e città, guerre e morti sempre più difficili da giustificare, tessuti metropolitani disgregati dove culture e sottoculture, entità ed etnie differenti sono ghettizzate, discriminate e rese sempre più povere o private di diritti. Questi i soggetti che si aggregano intorno alle curve nelle città dove si formano squadre di calcio, sia nella lega principale che in quelle minori: giovani, donne, veterani che ormai rifiutano la guerra, migranti e/o loro figli, attivisti di comunità differenti tra loro (LGBT, ambientalisti, antifascisti, anarchici) e tante famiglie. Le curve ed i gruppi si costituiscono così su valori condivisi, inalienabili e non negoziabili: antifascismo, antirazzismo, antisessismo, inclusione sociale, mutualismo, riconoscimento dei diritti civili, supporto alle comunità locali e un tifo scatenato fatto di coreografie, tamburi e fumogeni.

Risulta evidente come proprietari e Lega abbiano sfruttato a loro vantaggio quella parte di fan più fedele e appassionata, promuovendone la natura folkloristica e dinamica e alimentando nel contempo un conflitto di ideologie che si palesa nella natura intrinseca dell’essere ultras, fatta di indipendenza, auto-organizzazione e rifiuto del politicamente corretto. Se da un lato le scenografie e il sostegno degli ultras sono diventati il veicolo privilegiato per aumentare le presenze negli stadi e fornire una visione del tifo più simile a quella continentale, dall’altra parte la MLS ha avviato una politica di controllo e censure al fine di rispettare e riportare lo spettacolo calcistico a quell’idea di intrattenimento che è la base di ogni sport americano.
Nel contempo gli stessi club, che hanno compreso l’importanza di garantire al pubblico televisivo uno spettacolo anche sugli spalti, si preoccupano di filtrare ogni messaggio espresso dai tifosi. Tutti gli striscioni, infatti, prima di essere esposti devono ricevere l’approvazione del Front Office – uno sportello che si occupa delle relazioni con il tifoso, ogni squadra ne ha uno – che ne esamina il contenuto e valuta se rispetti o meno i parametri del codice di condotta. Tuttavia, la rigidità di queste norme non si addice alla spontaneità e alla riluttanza ad omologarsi a standard predefiniti tipiche degli ultras, cui non importa nulla di mantenere o meno pulita la reputazione della MLS.

La lega vuole “tifosi” e necessita del loro ruolo perché la agevolano in termini di marketing, ma ne osteggia e condanna l’aspetto più autonomo ed indipendente. Vuole controllarli, e per farlo minaccia decisioni drastiche come la revoca dei privilegi o l’eliminazione dei gruppi. Una volontà che nasce dalla preoccupazione di non urtare la sensibilità di un pubblico che si vuole a misura di famiglia e da un’idea di svago tesa a garantirsi sempre più lucrosi contratti televisivi. Appare ormai chiaro, di fronte ad un movimento ultras consapevole del proprio ruolo, che chi ha più da perdere sono probabilmente la Lega e i club, sia in termini di visibilità che di entrate economiche, ed è proprio su questi temi che si apriranno i primi terreni di scontro e messa alla prova dei gruppi organizzati.
L’aria è cambiata anche nel paese, e per il movimento ultras è giunto il tempo delle prese di parte e del conflitto. Ci saranno scontri duri con Lega e proprietari, ma con esiti del tutto nuovi e non scontati nel sistema sportivo americano e con forti ricadute sociali e politiche a livello nazionale (fine prima parte – continua).


A cura di Garbat.

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