Minuto Settantotto

gente che si commuove con il diario di Bobby Sands e il gol di Sparwasser

Pianga, Giampaolo, pianga in modo convincente. Sia un buon capro.

9. E Aaronne farà accostare il capro ch’è toccato in sorte all’Eterno,

e l’offrirà come sacrifizio per il peccato;

10. ma il capro ch’è toccato in sorte ad Azazel sarà posto vivo davanti all’Eterno,

perché serva a fare l’espiazione e per mandarlo poi ad Azazel nel deserto.

11. Aaronne offrirà dunque il giovenco del sacrifizio per il peccato per sé,

e farà l’espiazione per sé e per la sua casa;

e scannerà il giovenco del sacrifizio per il peccato per sé.

(Λευιτικόν, vita e morte di Marco Giampaolo 16:9-11)

Quando quel 2 agosto Marco nacque, fu quasi un dispiacere per mamma e papà.

La gioia per la nascita del primogenito era incontenibile, ma era un peccato averlo privato di casa sua. Quel 2 agosto del 1967 infatti la signora e il signor Giampaolo erano immigrati italiani in Svizzera, lontani qualche centinaia di chilometri dalle bandiere blu, dal Duomo di San Flaviano e dal Belvedere di casa. Di Giulianova. Erano andati in cerca di lavoro e avevano trovato un figlio. Un anno più tardi troveranno anche la via di casa. “Neanche la Svizzera era l’Eldorado, quando avevo un anno tornammo tutti a Giulianova”.

Marco cresce e si siede spesso in salotto sul divano con papà e Federico, il fratello più piccolo. Papà ha sempre qualche racconto sull’Inter di Facchetti o di Sarti, ma le cose cominciarono a quadrareimage quando la famiglia andò a vedere un Ascoli-Milan allo stadio. Nello stesso istante in cui si sedettero sui gradini del Del Duca la geometria delle pedine di Sacchi condannava l’esistenza di Marco (e quella di suo fratello) al completo sacrificio per il Dio del pallone.

Marco inizia presto a giocare e a studiare. Prima vuole essere un buono studente, una volta preso il diploma decide di voler essere un buon calciatore. Marco ha la mente troppo raffinata per calciare però, lui vuole decidere come gli altri devono calciare. Appende gli scarpini al chiodo dopo le ultime 18 presenze con il Guado, poi inizia a studiare per allenare.

Senza il patentino di prima categoria e con il ruolo di vice prima a Pescara, poi a casa, Giulianova, e Treviso. Arrivava spesso però a contare più dell’allenatore e se ne accorse anche la Federazione che, nel 2006, lo squalificò per due mesi per aver convinto l’Ascoli ad accostarli l’inutile presenza di Massimo Silva nel ruolo di primo allenatore. Insomma un modo per far allenare un ragazzo senza patentino.

In un mondo di furbi che la fanno franca, Marco Giampaolo torna al suo posto.

In un mondo di furbi che la fanno franca, è necessario un Signor Malaussène.

Ed è necessario simpatizzarci.

Dopo aver conseguito a pieni voti l’esame per il patentino da allenatore Marco sceglie di spogliarsi della giacca e della cravatta che contraddistinguono un allenatore in erba per vestire quelli da capro. Quelli da Benjamin Malaussène, il protagonista di Pennac che di lavoro faceva il capro espiatorio. Pianga, Malaussène, pianga in modo convincente. Sia un buon capro.

“Nel mio rapporto con il calcio c’è un problema, è vero, e lo dimostrano tutti gli esoneri che ho subito. Il calcio purtroppo è inquinamento. Quando i soldi entrano in ballo e determinano le scelte, sostituendo i valori, io non sono capace di mediare. Con i miei giocatori e per i colori che difendo sono disponibile a buttarmi nel fuoco, ma a volte si creano situazioni nelle quali l’allenatore viene scavalcato o dal giocatore o dalla società. Se uno deve ristabilire la propria leadership inizia a sgomitare e si creano attriti; nella mia carriera ci sono stati esoneri dovuti a fratture. Dopo di che sono esoneri punto e basta, questo lo so bene, ma io sono molto più di quegli esoneri”. (Il Giornale di Brescia)empoli2-1

Esoneri che minano l’ambizione di una carriera a cento all’ora, ma che non intaccano minimamente la persona. Come quando, in una squallida commedia che siamo abituati a vedere spesso, venne cacciato e poi richiamato dopo poche settimane dal presidente del Cagliari Cellino. “Io ho un contratto con la società Cagliari“, dirà al momento del richiamo, “ma ho anche una dignità. Mi rifiuto di tornare su quella panchina nonostante il danno economico che sicuramente mi porterà perché prima di essere un allenatore sono un uomo. E la mia dignità non si compra“.

Come quando venne lasciato solo a Brescia, scaricato dalla società e dato in pasto, fisicamente, agli ultras. Marco e chi non lo vuol capire. Marco e i cattivi risultati. Marco e quello che conta nel calcio. La sostanza. L’essenziale. L’1-0 senza contenuto. Marco e quello che non sarà mai. Da Brescia ne uscirà distrutto, con addirittura dei giorni in cui si pensava al peggio. Aveva staccato il telefono, aveva pianto e sofferto da solo. Si era rialzato e era riuscito ad innamorarsi di nuovo. Si era innamorato di Cremona e della Lega Pro, poi l’occasione di una vita, di un’altra vita forse. Empoli, Serie A, dopo 4 anni.

Quattro anni dove aveva vagato nel deserto da buon capro espiatorio, dove aveva espiato peccati non suoi. Anche suoi, ma non solo suoi.

Il capro è tornato a casa incredibilmente sano e pronto a prendersi la rivincita di chi ha sofferto tanto.

In bocca al lupo, Marco.

William Holman Hunt: The Scapegoat, 1854.

William Holman Hunt, The Scapegoat, 1854.

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